Piaccia o no, il momento del redde ratione è arrivato. Il capoeconomista della Banca centrale europea Peter Praet ha annunciato che la prossima settimana, nella riunione mensile dei governatori dell’area euro di Riga, si deciderà il destino del programma di acquisti di titoli pubblici iniziato nel 2015. Praet ha parlato di “uscita graduale”, ma il piano Draghi è già stato ridotto a 30 miliardi al mese. La scadenza al momento è fissata per il 30 settembre, è probabile ci sia un’ultima proroga fino alla fine dell’anno con acquisti pari a dieci o quindici miliardi di euro al mese. Dal momento in cui Draghi annuncerà le prossime mosse, la curva dei tassi di interesse inizierà a virare.
Il passo indietro della Bce, che ha gonfiato il proprio bilancio fino a superare in termini assoluti quello della Banca del Giappone, era ampiamente prevedibile. La prima riduzione degli acquisti risale a prima delle elezioni italiane, ed è giustificato dal fatto che Francoforte non può continuare a stampare moneta ad libitum, pena l’innesco di bolle finanziarie. L’inflazione non è ancora vicina all’obiettivo del due per cento, ma le previsioni degli economisti Bce dicono che quel livello non si raggiungerà prima del 2019. Il senso del ragionamento che si ascolta a Francoforte è più o meno questo: quel che era possibile fare lo si è fatto, oltre non si può andare.
Il piano, che ha contribuito a tenere i tassi di interesse vicini allo zero, ha permesso all’Italia di risparmiare in meno di tre anni più di settanta miliardi di interessi sul debito pubblico. Di più: il piano ha mantenuto entro limiti gestibili lo spread fra Btp e Bund tedeschi, anche nei giorni convulsi della crisi di governo. L’annuncio di Praet significa una cosa molto precisa: al più tardi all’inizio del 2019 i tassi aumenteranno, l’Italia non avrà più lo scudo protettivo che ha avuto finora e dunque non potrà permettersi di aumentare deficit e debito senza un accordo europeo, pena pesanti conseguenze sui mercati. Non stiamo parlando di quel che il governo farà in futuro, ma dei margini a disposizione per nuove spese oggi e per la legge Finanziaria di settembre. Lo scarto fra le promesse da cento miliardi del programma di governo Conte e il contesto è incolmabile. Il premier, il ministro del Tesoro Tria, ma soprattutto la Lega e il Movimento Cinque Stelle dicono di non voler uscire più dall’euro. Avranno capito quali sono le regole di ingaggio?