Il ticchettio dell’orologio in vista del Referendum in UK del 23 giugno è diventato un assordante rullo di tamburi dopo la recente ondata di sondaggi che sembra mostrare un deciso rifiuto dell’UE, con un drammatico margine di 10 punti a favore dell’uscita.
In vista di questo evento il mercato dei cambi della sterlina ha subito mostrato anomalie, con una liquidità praticamente inesistente, nel mercato delle opzioni, per le opzioni con scadenza oltre la data del voto. Con quel poco volume di scambio la volatilità implicita è schizzata a livelli che non si sono visti nemmeno al culmine della crisi finanziaria globale.
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Inoltre, al di là dei mercati valutari, dopo i sondaggi di venerdì, il recente aggravarsi delle paure della Brexit non è soltanto legato alle agitazioni sui mercati Forex e domestici, ma ha anche generato un effetto di contagio sui mercati globali.
È impossibile definire in maniera chiara quali scenari potrebbero delinearsi in caso di uscita del Regno Unito dall’UE, ma la volatilità salirà inevitabilmente, così come il mercato cercherà di adattarsi alla nuova realtà, con la Bank of England e, probabilmente, anche la BCE che offriranno aiuto nel caso in cui i mercati andassero in tilt.
Sul lungo termine, le sorti della sterlina non cambiano, specialmente per l’enorme deficit strutturale (oltre il 5% del PIL), il peggiore al mondo per un paese sviluppato. Questo sarà particolarmente vero se la recente debolezza dell’occupazione USA dovesse portare ad una fase di recessione. Una recessione degli Stati Uniti significherebbe inevitabilmente una debolezza dei mercati azionari.
147 giorni
Questo ci porta alla prossima e ancora più insopportabile attesa, quella che ha immediatamente assalito i mercati non appena sono cominciate le ansie legate al referendum del Regno Unito: i quattro mesi e mezzo di attesa per le elezioni presidenziali americane dell’8 novembre. Fino a quando i sondaggi indicheranno la possibilità di una presidenza Trump, i mercati globali rimarranno in un’insopportabile modalità di attesa. Perché? Una presidenza Clinton si limiterebbe a portare avanti lo status quo dei due mandati Obama. Ma una presidenza Trump? Con la sua personalità volatile e controversa, Trump è qualcosa di completamente nuovo. Con la maggioranza del Congresso, Trump sarebbe il primo presidente dai tempi di Reagan a privare del centro della scena politica una Federal Reserve che ha fatto in tempo a conquistare e poi perdere nuovamente la propria credibilità.
E ce ne sono altre di attese insopportabili che potrebbero continuare ad ostacolare ogni tentativo di instaurare trend durevoli nell’andamento dei tassi di cambio, almeno fino alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Quando la Cina permetterà finalmente alla propria valuta di guardare in faccia la realtà? Cosa significherà un possibile voto Brexit per l’Europa e per le prossime importanti elezioni europee? E, a più breve termine, dove si trova il vero punto debole dello yen giapponese che farà scattare la prossima grande mossa da parte della BoJ e/o del governo Abe? Vi è un ampio consenso sul fatto che la BoJ non guadagnerebbe nulla da un’espansione del proprio programma di QE, e che solo una combinazione con provvedimenti fiscali potrebbe vedere una ripresa del PIL giapponese in termini nominali.
L’unica tendenza che si può vedere in tutto questo è che i provvedimenti delle banche centrali continueranno a perdere impatto sul mercato. Quindi, dopo quasi dieci anni di inutili politiche che hanno portato soltanto incertezza, la domanda da fare rimane soltanto una: cosa ci aspetta adesso?
di John J. Hardy, Head of FX Strategy di Saxo Bank