L’Italia non riparte: soldi investiti in titoli di stato e nel solito stupido settore immobiliare invece che in piccole e medie aziende industriali.
Era il 28 febbraio 2012 quando ABI e le Associazioni di rappresentanza delle imprese firmarono, con co-firmatario anche l’allora Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, l’intesa denominata “Nuove misure per il credito alle Pmi”. In piena crisi recessiva, il credit crunch era iniziato a ottobre dell’anno prima, l’obiettivo dell’accordo era di assicurare la disponibilità di adeguate risorse finanziarie per le imprese che presentavano comunque prospettive economiche positive. Oggi, dopo tre anni e mezzo, leggiamo l’allarme lanciato da Confartigianato sulla persistente riduzione dei finanziamenti erogati dalle banche alle imprese italiane che negli ultimi quattro anni (da giugno 2011 a marzo 2015) sono diminuiti di oltre 10%, pari ad un calo complessivo di oltre cento miliardi di euro. Mentre la politica monetaria espansiva della BCE sta proseguendo nell’azione di riduzione dei tassi d’interesse, le banche italiane non vogliono, o non possono, riprendere ad erogare prestiti alle imprese.
Non solo, sempre secondo Confartigianato il denaro oltre che essere più scarso è anche più costoso: in Italia le società non finanziarie – escluse le famiglie produttrici – a maggio 2015 pagano sui nuovi finanziamenti un tasso d’interesse del 2,17%, diciotto punti base in più rispetto a quello medio dell’Eurozona (1,99%), così che il costo del credito per le imprese in Italia è inferiore solo a quello rilevato in Spagna (2,67%). Un altro elemento deve preoccuparci dai dati Confartigianato: i tassi d’interesse applicati alle piccole imprese sono superiori di 272 punti base rispetto a quelli applicati alle aziende medio-grandi e questo è particolarmente grave in un paese come il nostro che si fonda sulla piccola e media industria. A frenare la ripresa del credito sono sicuramente le sofferenze bancarie che ancora sporcano i bilanci delle banche, frutto in taluni casi di politiche del credito assai discutibili condotte in passato. E’ di queste ore il “salvataggio” da parte del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, che peraltro dovrebbe servire ad altri scopi, di CariFerrara e di Banca Marche che proprio grazie all’allegra distribuzione di credito attuata in passato si ritrovano oggi nei problemi sino al collo.
Un altro elemento per motivare il calo dei finanziamenti, in parte legato alle sofferenze e in parte all’opportunismo finanziario, sta nell’investimento in titoli di stato operato dagli istituti di credito locali. Proprio grazie alle condizioni offerte dalla BCE per favorire la ripresa del credito, le banche italiane hanno preferito investire in BTP piuttosto che correre il rischio di prestare soldi alle imprese. Lo stock di titoli di stato italiano detenuto dalle banche è cresciuto di oltre cinquanta miliardi nel periodo 2012 – 2015, pari a oltre il 16% del totale, mentre le erogazioni nello stesso periodo sono scese di oltre 100 miliardi (fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico. Anno XXV – 14 Luglio 2015). Ecco perché la ripresa è lenta e fragile, mancano i finanziamenti a quella che è l’ossatura del nostro sistema industriale. Se i cinquanta miliardi investiti in titoli di stato fossero stati impiegati nell’industria, quella delle aziende medio – piccole s’intende, non quella degli immobiliaristi, allora avremmo assistito ad una ripresa assai più rapida e consistente. Senza il credito per gli artigiani e le piccole imprese, non crescerà la fiducia, non crescerà l’occupazione, non riprenderanno in misura robusta i consumi interni.
di Gian Paolo Bazzani, AD Saxo Bank Italia
Il titolo originario di questa analisi e’: “SENZA CREDITO ALLE PICCOLE – MEDIE IMPRESE, L’ITALIA NON RIPARTE”