Bassa crescita globale, calo dei prezzi e mancanza di coordinamento tra le autorità rendono la crisi in corso forse meno grave di quella del 2008, ma ancora più intricata. Come allora l’epicentro è il sistema finanziario. Quello che fa una banca è finanziarsi a breve termine per poi impiegare quel denaro in prestiti a più lunga scadenza.
Quanto maggiore è la differenza tra i tassi a lunga e quelli a breve e tanto più una banca guadagna. Con un’economia sull’orlo della deflazione, la redditività delle banche sparisce perché anche i tassi a lunga sono vicini a zero. La crisi bancaria a sua volta aggrava la depressione economica.
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Quando a fine 2015 la Federal Reserve ha cercato di alzare i tassi, sperava di normalizzare i rendimenti a lunga. Ma la decisione della Banca del Giappone di rispondere con tassi negativi all’apprezzamento dello yen ha fatto capire al mercato che le banche centrali non stavano affatto cooperando e che sarebbe scattata una concorrenza al ribasso dei tassi, con ripercussioni sui bilanci delle banche. Lo yen si è addirittura rafforzato nell’attesa di rappresaglie da parte delle altre banche centrali.
Infatti mercoledì Janet Yellen ha rinviato le attese di rialzo dei tassi Usa e quando ieri la Banca di Svezia ha ridotto a -0,5% il tasso di rifinanziamento si è capito che la competizione tra le autorità monetarie globali era senza regole.
La normalizzazione dei tassi non sarebbe arrivata e i dubbi sulla redditività delle banche si sono aggravati di colpo trascinando le Borse mondiali.
La Bce ha cercato di assicurare che avrebbe contrastato la deflazione con ogni mezzo. Mario Draghi ha dichiarato che non ci sono freni alla capacità di stimolo, né pavimenti che limitino il livello negativo dei tassi. In effetti, invece, le banche commerciali non riescono a trasferire sui clienti i tassi negativi e questo significa che le politiche dei tassi negativi aggravano le perdite delle banche fino a ridurre la loro capacità di credito all’economia.
Per le banche centrali sembra una situazione senza via d’uscita: non possono alzare i tassi, né ridurli senza gravi conseguenze.
Ma il beneficio di aver vissuto la crisi del 2008 è che qualcosa dovremmo averla imparata. Le autorità fiscali sanno che devono rilanciare la domanda in un contesto di stagnazione in cui la politica monetaria ha esaurito le proprie armi. Le banche sono in crisi infatti anche perché la debolezza della ripresa comporta che la domanda di credito sia mediocre. Magari accelera la domanda di mutui ma non quella di prestiti delle imprese, la cui debolezza si riflette nella scarsità di investimenti. Eppure solo l’aumento del volume dei crediti avrebbe potuto compensare la minor redditività delle banche dovuta al calo dei tassi.
Ma, come detto, il tasso di crescita dell’economia resta troppo basso. Le attese di inflazione, invece di crescere, diminuiscono e questo fa aumentare i tassi reali nonostante la discesa di quelli nominali.
Dovremmo inoltre essere in grado di capire gli errori di regolazione che stiamo commettendo. In Europa esiste un problema di prestiti incagliati accumulati durante la recessione. Se ne stimano 900 miliardi lordi.
Quando sono emersi i problemi di alcune banche locali e poi in Portogallo del Novo Banco si è vista la pericolosità dei nuovi sistemi di risoluzione delle banche attraverso la ristrutturazione delle obbligazioni soggette a bail-in. Anche se oggi tutte le banche quotano a valori inferiori a quelli di libro, gli investitori colpiscono maggiormente quelle che, a fronte di requisiti di capitale più elevati richiesti dalle autorità di regolazione, si sono affidate all’emissione di obbligazioni. La regolazione del bail-in va dunque sospesa dato il rischio sistemico che ha innescato.
Infine a peggiorare la situazione è il fatto che siano circolate proposte di associare indici di rischiosità anche ai titoli di Stato nei portafogli bancari. Come rivelato su questo giornale, il governo tedesco propone di anticipare in Europa gli accordi che sono già allo studio a Basilea, imponendo alle banche di detenere capitale a fronte dell’enorme quantità di titoli pubblici.
A questo punto la redditività attesa del capitale bancario è precipitata e gli spread tra gli stati si sono riaperti. Questo modo di gestire la crisi europea va rimpiazzato da buon senso e spirito di cooperazione.
di Carlo Bastasin
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Sole 24 Ore