Il Fondo monetario internazionale ha messo in guardia su una possibile terza ondata di crisi globale. Il rischio è che le politiche monetarie delle banche centrali provochino proprio questo scenario.
La settimana scorsa il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha messo in guardia i policymaker mondiali. “Ci sono ancora numerose vulnerabilità che possono minare la crescita globale”, hanno detto gli economisti dell’istituzione guidata da Christine Lagarde. Il problema è che le banche centrali potrebbero aver terminato le armi a loro disposizione.
Le politiche monetarie straordinarie giunte dopo lo scoppio della bolla immobiliare statunitense nel 2006 e dopo le fasi più dure della crisi dell’eurozona sono diventate la normalità. Lo scriveva negli anni scorsi PIMCO, così come banche d’affari come Goldman Sachs, Morgan Stanley, UBS e Nomura. Ma a distanza di più di un lustro dal collasso di Lehman Brothers, i tentativi di uscita da questo regime di politica monetaria si scontrano contro nuovi squilibri, nuove distorsioni. Non c’è solo la Cina, e il suo trilemma interno (credito, costruzioni, liberalizzazioni), ma in genere tutti gli Emergenti, che stanno fronteggiando la più grande sfida che si potesse presentare loro, la riorganizzazione dei fattori produttivi domestici. In altre parole, stanno tentando di rivoluzionare il loro modello di sviluppo. In questo quadro, le banche centrali hanno un problema di trasmissione della politica monetaria.
Il ruolo dei banchieri centrali è su un piano sempre più inclinato. Come fa notare Keith Wade, Chief economist di Schroders, non sono poche le incognite presenti sulla lunga via che porta alla nuova normalità della politica monetaria globale. “Gli investitori azionari temono che la capacità delle banche centrali di rispondere a shock negativi sia limitata, in quanto i tassi di interesse sono già molto vicini allo zero e ci sono dubbi circa l’efficacia di eventuali ulteriori programmi di quantitative easing”, spiega Wade. In pratica, il timore principale che hanno gli investitori internazionali è che non ci siano abbastanza frecce nella faretra dei banchieri centrali.
Quello che è certo è che l’economia globale si trova in una situazione particolare. Come fa notare un’analisi di Bank of America-Merrill Lynch, il mondo si trova nella più ampia fase di deflazione della storia. Questo fenomeno è causato, spiega la banca statunitense, in larga parte dalle commodity, i cui prezzi sono al minimo dal 1975. In questo contesto, la Federal Reserve ha battuto un record, da quando è iniziata la crisi subprime. Sono 81 mesi che non tocca il tasso d’interesse di riferimento. Prima di oggi, il periodo più lungo si era registrato nell’intervallo temporale compreso fra l’agosto del 1937 e il settembre del 1942. Come ricorda Bank of America-Merrill Lynch, la Zero interest rate policy (Zirp), cioè la politica monetaria fatta di tassi prossimi allo zero, ha supportato direttamente il 55% dell’economia mondiale. Il riferimento non è solo alla Fed, ma anche alle azioni di stimolo della Banca centrale europea (Bce), della Bank of Japan, della Bank of England e della Bank of Canada, le maggiori a livello planetario. Quindi, perché alzare i tassi ora? E allo stesso modo, come sta ragionando la Bce, in che modo aumentare la potenza di fuoco del Quantitative easing lanciato solo pochi mesi fa per supportare l’economia europea?
Il presidente della Federal Reserve di Chicago, Charles Evans, ha detto che la metà del 2016 è la migliore scelta per innalzare il tasso di riferimento della banca centrale americana. Questo perché è vero che l’economia statunitense è migliorata di molto rispetto al crac di Lehman Brothers, ma è altrettanto vero che gli shock esogeni possono presentarsi all’improvviso con una virulenza non irrisoria. Il caso della grande correzione del mercato azionario cinese è solo uno dei tanti punti oscuri che possono minare la crescita globale.
Di conseguenza, chi analizza i mercati finanziari ha dovuto rivedere le proprie stime. Come spiega Wade “abbiamo (Schroders, ndr) posticipato le nostre previsioni di un rialzo dei tassi al prossimo marzo e abbiamo rivisto la traiettoria per i tassi, aspettandoci ora che questi tassi raggiungeranno l’1% a fine 2016”. E dire che prima delle turbolenze cinesi, Schroders riteneva che “per quella data i tassi avrebbero raggiunto il 2%”. Invece, è successo il contrario. Il problema è quello della credibilità, componente fondamentale del rapporto fra investitori e banchieri centrali. Dice Wade che “la promessa delle banche centrali, per cui la politica monetaria può assicurare la crescita per gli investitori, sta diventando meno credibile”. Questo perché le munizioni sono sempre di meno.
Il risultato di queste frizioni potrebbe sfociare in una terza ondata di crisi globale? Il rischio, esplicitato anche dagli analisti del Fmi pochi giorni fa, è proprio questo. Tuttavia, c’è un lato parzialmente positivo da tenere in considerazione. Sia negli USA sia in Europa, la vigilanza macroprudenziale e i meccanismi di gestione delle crisi sono migliorati in modo rilevante negli ultimi cinque anni. Guai a sedersi sugli allori, però.
di Fabrizio Goria
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da East Online