Media e osservatori internazionali sono concentrati sul braccio di ferro tra la diplomazia francese e quella italiana sull’acquisizione della Stx da parte di Fincantieri.
La pista è utile da seguire, ma non è il pezzo forte di questa vicenda. Perché c’è un aspetto quasi inesplorato ma che può dare senso alle resistenze di Parigi all’operazione, peraltro già bella chiusa, impacchettata e decisa da mesi. La password è di due parole: Jobs Act. No, non si tratta della pasticciata riforma del lavoro varata dal governo Renzi, ma di quella che da settembre occuperà l’agenda politica di Emmanuel Macron.
Il neo presidente della Repubblica francese, infatti, vuole modificare a fondo il sistema del mercato del lavoro nel suo Paese, e sa benissimo che di fronte avrà la strenua opposizione dei sindacati, che già all’epoca della riforma firmata Hollande fece barricate in tutto il Paese, anche se inutili visto che alla fine il provvedimento passò.
Stavolta non vogliono farsi cogliere di sorpresa e i primi, timidi approcci con il governo di Parigi fanno presagire un autunno caldo, caldissimo in Francia. Ecco perché Macron ha bisogno di un coup de théâtre per impressionare le parti sociali, utile da rivendersi al momento in cui le trattative entreranno nella fase cruciale.
Stx è un’azienda ormai allo sfascio, con i conti a pezzi e una situazione occupazionale da far tremare i polsi: migliaia di lavoratori rischiano di finire sulla strada se non si trova subito un socio forte, che inietti capitali e salvi la baracca. Fincantieri è quel socio, tanto che dopo l’iniziale “minaccia” di nazionalizzare i cantieri navali, la Francia sta tornando a più miti consigli. Alla vigilia del confronto con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, infatti, il ministro delle Finanze transalpino, Bruno Le Maire, ha offerto una partenership al 50% con l’azienda italiana, lasciando a loro la guida di quella che può realmente diventare la più grande impresa cantieristica d’Europa, dunque una delle più grandi al mondo, sia nel settore civile che in quello militare.
L’affare non può e non deve saltare, ma se l’Italia accetta questa soluzione, magari in cambio di una promessa di operare pochissimi tagli in Francia, Parigi potrà spendersi la mossa con i sindacati per il suo Jobs Act. Una strategia, insomma, per conquistare consenso agli occhi dell’opinione pubblica e stringere d’assedio le parti sociali nel momento della trattativa.
Del resto, quale popolo si schiererebbe contro un governo che ha salvato migliaia di posti di lavoro? E quale popolo crederebbe a dei sindacati che dicono che quello stesso governo vuole rendere troppo liquido e flessibile il mercato del lavoro, dopo che si è battuto al limite dell’incidente diplomatico per salvare i dipendenti di una grande azienda francese?
La strategia potrà pagare, però, solo se l’Italia accetterà di prendere parte a questa grande recita. Padoan, Gentiloni e Calenda non sembrano molto intenzionati, ma dal coro si è levata la voce di Renzi, che invece appoggia l’amico Macron. In poche parole, la strategia politica francese si intreccia con quelle di casa nostra, e da chi uscirà trionfatore da questo gioco di finte minacce potremo capire anche gli equilibri del nostro sistema.
Un grosso gioco geopolitico, portato avanti per influenzare le opinioni pubbliche di due Paesi, condotto anche in barba alle regole europee, ma che può essere virtualmente produttivo. Per i player in campo, ovviamente, non per i cittadini.