L’italia esce molto male dalla tornata di nomine europee
Marco Zatterin, La Stampa
“Sovranisti e populisti si sono sbagliati. Il voto del 26 maggio non ha spazzato via la «vecchia Europa», anzi”. Così Marco Zatterin commenta sulla Stampa le indicazioni per i nuovi vertici delle istituzioni comunitarie. “Dalla tortuosa trattativa sulle poltrone più calde del continente emerge un’Unione affaticata, ma coerente col passato e con le ambizioni di sempre. È un’alleanza che finalmente spinge al vertice due donne importanti, designate con un’intesa alimentata dalla inevitabile cooperazione franco-tedesca, e con la collaborazione dei quattro presunti «ribelli» di Visegrad. Un liberale belga sarà presidente dell’Eurosummit, mentre i socialisti condurranno la Politica estera e il Parlamento. La Spagna ha fatto punti. L’Italia ne ha persi. Ed è rimasta fuori dai giochi che contano, come era prevedibile. Non è stata una partita facile, i leader hanno ballato avvolti da una tempesta di incognite difficili da rimettere in ordine. Però Berlino guiderà la Commissione, non succedeva dal ’67. E Macron può tornare a casa col sorriso: ha mediato, puntando diritto alla Bce e affermandosi con determinazione. Come l’ispanico Sánchez, negoziatore dalle azioni in crescita. Così la morale è chiara: tutti quelli che hanno giocato per l’Europa, hanno vinto. E questo porta all’Italia, regista di una strategia contradditoria. Conte ha negoziato con passione, ma ha pagato la dipendenza da azionisti confusi e discordi. Timmermans sarebbe stato un miglior appoggio, attento al Paese, favorevole al salario minimo e a politiche di immigrazione condivise. Invece siamo caduti nella trappola dei Visegrad e abbiamo bruciato la sponda più amica. Il voto di maggio non ha ucciso l’Europa «cattiva» descritta da Salvini & Co. Ha dato una nuova opportunità all’Unione che ora la deve meritare. E ne ha tolte ad un’Italia colpevole di aver dimenticato che, per contare di più, non si può essere soli”.
Andrea Bonanni, Repubblica
“Si era schierato contro il candidato Timmermans perché designato da francesi e tedeschi, aveva spiegato Giuseppe Conte. Grazie a questa mossa geniale, il capo del governo italiano ora ha una tedesca alla guida della Commissione Ue e una francese alla guida della Bce”. Per Andrea Bonanni, che firma un editoriale su Repubblica, la strategia italiana nella scelta dei vertici delle istituzioni europee è stata totalmente fallimentare. “Se l’Italia esce ridicolizzata dalla lunga trattativa che ha portato a decidere le nomine ai vertici della Ue – sottolinea Bonanni -, la vera trionfatrice dell’operazione è Angela Merkel. Era costretta a sostenere uno Spitzenkandidat tedesco ma non del suo partito, e lo ha fatto bocciare da Macron. Poi ha compiuto un bel gesto verso i socialisti (che sono nella sua coalizione di governo) appoggiando Timmermans e lasciando che venisse bocciato da polacchi, ungheresi e italiani. Lei stessa si è fatta offrire almeno due volte le poltrone della Commissione e del Consiglio rifiutandole con gesto nobile. Infine è riuscita a imporre la sua protetta Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, e la sua amica Christine Lagarde alla Bce. E si è addirittura tolta lo sfizio sublime di astenersi sul nome della sua pupilla tedesca per non spiacere al partito di Weber. Come a dire: non è una scelta mia, sono gli altri che me la impongono. Alla fin fine, l’unica donna che conta in Europa riesce a imporre due donne sulle poltrone più importanti della Ue. Anche i sovranisti dell’Est escono malconci da questa lunga battaglia – prosegue -. Hanno ottenuto (in parte) lo scalpo di Timmermans. Ma non c’è un solo est-europeo seduto sulle poltrone che contano in Europa. Non c’è nessun sovranista. E non c’è nessun esponente della destra illiberale che avrebbe dovuto conquistare la Ue”.
Antonio Polito, Corriere della Sera
Antonio Polito sul Corriere della Sera saluta con favore la notizia che due donne saliranno ai vertici delle istituzioni Ue e che l’italiano David Sassoli potrebbe guidare l’Europarlamento, avvertendo però che “le buone notizie finiscono qui. Sempre sul filo del fallimento, fratturato in più punti, con un finale contestato, il conclave dei leader – spiega Polito – si è dimostrato abbondantemente al di sotto del compito. Le elezioni del 26 maggio, pur non essendo state vinte dai populisti, non sono state vinte neanche dai partiti storici. Di conseguenza oggi manca un baricentro, e si vede. Ciò rischia di peggiorare, se è possibile, i già gravi problemi di governance che da tempo affliggono la Ue. Il più grave tra questi è l’assenza del criterio democratico tra i mille che sono stati presi in considerazione nella scelta dei vertici. Su tutto hanno deciso i governi. E al posto del criterio democratico ne hanno usati altri mille, sovrapposti in un groviglio sempre più inestricabile: il criterio del mercato politico; quello della forza degli Stati; quello geografico; e infine quello di genere, l’unico che alla fine ha funzionato bene. Ma così è davvero difficile togliere dalla testa degli europei la cattiva idea che si sono fatti dell’Unione. In questo sostanziale insuccesso generale, l’Italia perde di suo. Il premier Conte non ha esitato a porre il veto alla prima proposta, sostenendo che non si sarebbe fatto imporre una soluzione franco-tedesca. Ma alla fine ha dato il via a un accordo che prevede una tedesca alla Commissione e una francese alla Bce. E per ottenere questo risultato, Conte si è messo in minoranza. L’asse franco-tedesco ha insomma battuto un colpo. Ma lasciando dietro di un vuoto di idee e una divergenza di strategie che impediscono un rilancio del progetto europeo”.
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Il terzo giorno del summit europeo per nominare la leadership della comunità ha lasciato martedì una distribuzione delle principali posizioni in gioco tra Berlino, Parigi e Madrid con l’Italia tagliata fuori dai grandi giochi e marginalizzata. La Germania e la Francia assumono i posti principali da distribuire, la presidenza della Commissione europea e la Banca centrale europea. La Spagna raggiunge, per la prima volta in 15 anni, uno dei posti vacanti, con Josep Borrell come futuro vicepresidente della Commissione e alto rappresentante della politica estera al posto della scadente Federica Mogherini. La formula concordata dopo tre intensi giorni di negoziazioni tra i leader europei ha anche raggiunto per la prima volta una parità di genere, con due donne tra le quattro personalità scelte. La battaglia ora passa al Parlamento europeo, ma le fonti diplomatiche ritengono che il patto del 2 luglio sopravvivrà a disaccordi politici nel Parlamento europeo. La scommessa si basa, appunto, sulla difficoltà di sabotare un accordo che, per la prima volta, dà alle donne le redini principali dell’UE.
Germania e Francia assumono le posizioni di vertice della Commissione europea e della BCE.
L’attuale ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, è stata designata per diventare la prima donna nella storia a presiedere la Commissione europea (CE). È interessante notare che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, si è astenuta dal darle sostegno perché i socialisti del suo governo di coalizione non appoggiano la nomina. L’approvazione finale dipenderà dal Parlamento europeo. La francese Christine Lagarde, amministratore delegato del Fondo monetario internazionale (FMI), sarà la prima donna a presiedere la Banca centrale europea (BCE). L’accordo include la proposta di Josep Borrell, che agisce come ministro degli esteri spagnolo, per la posizione di alto rappresentante della politica estera dell’UE. La sua nomina avverrà quando la nuova presidenza della Commissione sarà confermata dal Parlamento.
Il socialista olandese Frans Timmermans e la liberale danese Margrethe Vestager sono anche vicepresidenti della nuova Commissione sotto il patto di Bruxelles. “Sono molto lieto di aver raggiunto l’accordo e di aver incluso due donne”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, dopo aver concluso il summit europeo. “Valeva la pena aspettare”, ha aggiunto Tusk, concludendo uno dei più lunghi vertici nella storia dell’UE.
L’incontro è stato convocato domenica alle sei del pomeriggio, con la speranza di sciogliere rapidamente un principio di accordo che riservava la presidenza della Commissione al gruppo socialista. Ma la ribellione di gran parte del Partito popolare europeo contro un cast proposto dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha sconvolto tutti i piani e prolungato il summit per tre giorni, fino alle sette del pomeriggio di martedì. Il risultato finale, annunciato da Tusk, è una clamorosa vittoria del Partito popolare europeo (PEE), che lunedì è riuscito a bloccare la candidatura del socialista Frans Timmermans alla presidenza della Commissione e 24 ore dopo prende i primi due leader (CE e BCE).
I liberali crescono con un’importante ricompensa. Il liberale belga Charles Michel, attualmente primo ministro del suo paese, sarà il prossimo presidente del Consiglio europeo. E il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha negoziato in nome dei liberali, ottiene la presidenza della BCE per una compatriota, anche se Lagarde è più legata politicamente ai popolari e all destra, in quanto è stata ministro dell’Economia durante la presidenza di Nicolas Sarkozy. La Spagna raggiunge una delle posizioni più alte in gioco e ritorna in gioco, dopo la partenza di Joaquín Almunia nel 2014.
Ma l’offensiva guidata dal presidente in carica del governo, Pedro Sánchez, con Macron, spodestare la presidenza popolare della Commissione (che occupano dal 2004) ha fallito miseramente di fronte alla resistenza manifestata dal Partito popolare europeo. Tra le vittime, ci sono i socialisti, che lunedì hanno sfiorato la presidenza e ora devono essere soddisfatti della stessa posizione che occupano attualmente (l’alto rappresentante) e con una presidenza del Parlamento durante la prima metà della legislatura (due anni e mezzo), che potrebbe essere per il bulgaro Sergei Stanishev. La seconda metà sarà consegnata al Partito popolare europeo, con il tedesco Manfred Weber come candidato prevedibile. Sanchez ha difeso l’accordo come “equilibrato” e ha ricordato che le forze socialiste erano molto più scarse rispetto al 2014, quando avevano più seggi in Parlamento e governi potenti come quelli di Francia o Italia.