(WSC) Tel Aviv – L’ambasciatore cinese in Israele Du Wei è stato trovato morto questa mattina nella sua casa ad Herzliya, uno dei sobborghi ricchi di Tel Aviv. Lo riferiscono media israeliani che citano la conferma del ministero esteri di Israele.
La causa della morte sembra essere un arresto cardiaco, poiché il diplomatico è stato trovato morto nel suo letto dal personale della sua residenza senza segni di violenza sul corpo. Ecco la notizia come appare sul quotidiano Haaretz:
Chinese Ambassador to Israel Found Dead in His Home
Du Wei, 58 anni, era arrivato in Israele lo scorso marzo nel pieno della pandemia di coronavirus e del rigido lockdown del paese. Prima era stato inviato cinese in Ucraina.
Sull’intera vicenda sta indagando la polizia di Tel Aviv, coadiuvata dal Mossad.
Scrive Lorenzo Lamperti su Affaritaliani.it:
DU WEI IN ISRAELE DA MARZO. LA VISITA DI POMPEO
Il diplomatico 58enne, sposato e padre di un figlio, era arrivato in Israele all’inizio dell’anno dopo un mandato in Ucraina. Approdato a metà febbraio, aveva ricevuto le credenziali solo a fine marzo perché al suo arrivo era rimasto quindici giorni in quarantena per via della pandemia. Viveva nel quartiere di Herzliya. La sua famiglia non era al momento con lui in Israele. Nei giorni scorsi aveva scritto un articolo per il Jerusalem Post, paragonando la resilienza della Cina nell’affrontare la pandemia a quella del popolo israeliano. E venerdì, attraverso l’ambasciata, aveva protestato per le parole pronunciate al segretario di Stato americano, Mike Pompeo, durante la sua breve visita in Israele due giorni prima.
LA PARTITA USA-CINA SU ISRAELE
Pompeo aveva accusato Pechino di utilizzare i suoi investimenti in Israele come minacce e aveva anche ribadito che la Cina sta nascondendo informazioni sull’epidemia. Il messaggio del segretario di Stato Usa è stato chiaro: scegliere tra gli investimenti cinesi e l’accordo politico sull’annessione della Cisgiordania. La reazione dell’ambasciata non si era fatta attendere: “Pompeo da tempo considera prodotti e investimenti cinesi come rischi per la sicurezza senza produrre prove a sostegno delle sue acccuse. Confidiamo che i nostri amici israeliani non solo siano in grado di sconfiggere il coronavirus ma anche il virus politico e scegliere la linea di azione che serve meglio i loro interessi”. Nella sua replica, Wei aveva espresso la speranza di un’ulteriore cooperazione. L’ambasciatore aveva definito le relazioni tra i due paesi come ‘win-win‘, in un rapporto di vantaggio reciproco e liquidato come ridicole le affermazioni che la Cina vuole comprare Israele, anche considerando che l’investimento della Cina nel paese “rappresenta solo lo 0,4% per cento degli investimenti della Cina nel mondo”.
I PRECEDENTI SCONTRI USA-CINA SULLE FORNITURE MILITARI
Non è la prima volta che Usa e Cina entrano in competizione su Israele. Come ha scritto il Wall Street Journal, alla fine degli anni ’90, i funzionari statunitensi si opposero a una vendita pianificata alla Cina del sistema radar aereo Phalcon di fabbricazione israeliana. Israele si è piegato alle pressioni degli Stati Uniti nel 2000, ha annullato la vendita, rimborsato alla Cina quasi 200 milioni di dollari e pagato oltre 150 milioni in danni. Il secondo scontro si è verificato durante la presidenza di George W. Bush e ha coinvolto il sistema antiradar israeliano Harpy. Un caso che portò al licenziamento del direttore generale del ministero della Difesa israeliano, a nuove leggi sul controllo delle esportazioni e a un accordo di condivisione delle informazioni con il Pentagono. Ancora più importante, nel 2005 Israele ha chiuso del tutto il suo commercio di difesa con la Cina. Anche senza le vendite militari, la Cina è cresciuta fino a diventare il secondo partner commerciale di Israele, dopo gli Stati Uniti.
IL PORTO DI HAIFA AI CINESI E IL 5G
Dopo la fine delle relazioni in materia di difesa, Washington si era messa il cuore in pace, lasciando proseguire la collaborazione in altri settori. Tanto che Israele rappresenta un importante anello della Via della Seta di Pechino. Non tanto per a livello economico, quanto qualitativo e strategico. E un anello sensibile, vista la storica alleanza tra Tel Aviv e Washington. Alleanza che non ha impedito al governo israeliano di dare il via libera a un accordo sulla concessione del nuovo terminal del porto di Haifa e ad altre partnership per lo sviluppo della rete 5G. Due settori fondamentali, quello infrastrutturale-strategico e quello tecnologico, nei quali Pechino conta di trarre importanti vantaggi con la proiezione verso non solo il Medio Oriente (area dove la sua influenza è in costante aumento) ma anche verso il Mediterraneo. Israele è dotata di un’importante scena tecnologica e di innovazione, due elementi centrali nella competizione tra superpotenze. E ora la Casa Bianca, protagonista di un innalzamento delle tensioni col rivale commerciale e geopolitico, non sembra più intenzionata a lasciar passare.
IL CAMBIO DI MARCIA DELLA DIPLOMAZIA CINESE
La morte di Wei arriva, tra l’altro, in un momento nel quale gli ambasciatori cinesi all’estero sono particolarmente attivi. Dopo decenni di understatement, basati sul principio di Deng Xiaoping (“nascondi la tua forza, aspetta il tuo momento e non prendere mai il comando”) la diplomazia cinese si muove in massa, risponde alle accuse, interviene attivamente nel dibattito e prova a imporre la propria auto narrazione. In prima linea le ambasciate. Quella francese ha postato un video animato coi Lego per smentire le accuse di Washington sull’origine della pandemia. L’ambasciata cinese in Polonia si è resa protagonista in questi giorni di una polemica senza precedenti con la delegazione statunitense, quella in Germania si è scontrata con i media tedeschi. I diplomatici in Repubblica Ceca e in Svezia hanno apertamente minacciato di ritorsioni i rispettivi governi per azioni politiche interpretate come ostili.
E’ in questo generale scenario da accuse incrociate e teorie del complotto che la morte dell’ambasciatore cinese in Israele può dare vita a teorie da guerra fredda, ricordando anche il rapporto quantomeno privilegiato tra servizi segreti americani e israeliani.