Italia sempre più a trazione cinese: il giro di affari è di 5 miliardi di euro all’anno

Grandi gruppi e marchi di alta moda, Pechino rappresenta il 30% degli investimenti stranieri nel nostro Paese. Anche l’integrazione è avanzata, ormai è dentro il tessuto economico e …

Grandi gruppi e marchi di alta moda, Pechino rappresenta il 30% degli investimenti stranieri nel nostro Paese. Anche l’integrazione è avanzata, ormai è dentro il tessuto economico e sociale italiano.

La Cina è uno dei paesi leader dell’economia mondiale ed è entrato ormai profondamente anche nel tessuto produttivo italiano. Negli ultimi anni gli investimenti cinesi nel nostro Paese sono cresciuti in modo esponenziale, in tutti i settori, dalla moda, all’energia, dai motori al mercato immobiliare. E dallo scorso anno l’Italia è salita al secondo posto nella classifica degli investimenti cinesi in Europa.

Un giro di affari da 5 miliardi di euro, quasi il 30% di tutti gli investimenti esteri arrivati nel nostro paese. Pirelli, Gruppo Ferretti, Krizia, Benelli moto, Terna, Snam, Enel, sono solo alcuni tra i grandi marchi del made in Italy passati in mani cinesi. E dalle sorti del colosso asiatico dipende anche il nostro futuro. Intanto i mercati finanziari della grande Cina scricchiolano, dobbiamo averne paura?

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Per l’Ocse la crescita cinese è stabile

I Paesi dell’area Ocse sono in una fase di crescita economica stabile, mentre tra gli emergenti la situazione è disomogenea: Cina e Brasile sono in stabilizzazione, l’India si consolida, mentre la Russia perde slancio. È quanto rileva il superindice Ocse di dicembre. In Europa, il ritmo di crescita rimane stabile per Germania, Italia e per l’eurozona, mentre in Francia si consolida. Usa e Gb continuano a mostrare una crescita più moderata rispetto ai mesi scorsi, in cui i ritmi erano comunque elevati.

Acciaio, 15 Paesi in marcia contro lo strapotere di Pechino

Una “grande marcia dell’acciaio”, e non solo, contro l’assegnazione dello status di economia di mercato alla Cina da parte dell’Ue. È la manifestazione organizzata per il prossimo lunedì 15 febbraio sotto l’egida di Aegis Europe, l’associazione che raccoglie le industrie europee di diversi settori (dai pannelli solari all’alluminio), con il sostegno di Eurofer per l’acciaio. Secondo gli organizzatori, sono attese oltre 5mila persone da tutta Europa, dipendenti, datori di lavoro e sindacati insieme di cui diverse migliaia solo dal settore siderurgico da 15 Paesi diversi, per manifestare a sostegno di scambi commerciali equi, crescita e occupazione in Europa, e contro il dumping cinese e il riconoscimento dello status di economia di mercato a Pechino. Il prossimo lunedì, in concomitanza con la marcia, Aegis presenterà anche il suo Manifesto industriale europeo. “La marcia e il manifesto colpiscono al cuore delle sfide a cui si trova di fronte l’industria dell’acciaio europea”, ha dichiarato il direttore generale di Eurofer Axel Eggert, ricordando che le importazioni di acciaio cinese ‘dopato’ dal dumping sono raddoppiate negli ultimi 18 mesi, causando “chiusure irreversibili e perdite di posti di lavoro in tutto il settore siderurgico Ue”. La Cina, ha quindi aggiunto Eggert, “non rispetta 4 dei 5 criteri Ue per essere considerata un’economia di mercato”, quindi riconoscerle questo status sarebbe “una follia politica ed economica”. Oltre a un danno per l’ambiente, in quanto, ricorda Eurofer, ha un impatto anche sul sistema europeo degli Ets per ridurre le emissioni di Co2.

Riserve in valuta estera assottigliate

Le riserve in valuta estera cinesi si sono assottigliate di quasi cento miliardi di dollari a gennaio (99,5 miliardi) scendendo ai minimi degli ultimi tre anni a quota 3230 miliardi di dollari. La caduta di gennaio è di poco inferiore al record negativo stabilito a dicembre 2015, quando in un mese le riserve sono crollate di 107,9 miliardi di dollari, e al di sotto delle aspettative degli analisti, che la davano a 120 miliardi di dollari. Il risultato è in parte dovuto, per gli analisti, ad alcune misure restrittive sulle fuoriuscite di capitali messe in atto dalla stessa banca centrale cinese. Nel 2015, però, le riserve sono calate di oltre 500 miliardi di dollari, segnando il primo declino annuale di sempre. Il vistoso calo delle riserve valutarie è dovuto soprattutto agli sforzi del governo di sostenere la valuta cinese. Allo stesso tempo la banca centrale nelle scorse settimane ha iniettato massicce dosi di liquidità nel sistema finanziario, una misura che per molti analisti rappresenta una manovra per controllare al meglio la liquidità del sistema senza ricorrere al taglio dei requisiti riserva obbligatori delle banche. Intanto, il governo si prepara al varo delle riforme strutturali dell’economia, con i primi annunci, che riguardano soprattutto i comparti industriali in maggiore crisi, come quelli del carbone e dell’acciaio, che vedranno ridotte le quote di produzione e dei quali il governo favorirà i processi di fusioni e acquisizioni per rendere i gruppi del settore più competitivi sul mercato. Lo stesso primo ministro, Li Keqiang, prima della pausa per le celebrazioni del capodanno cinese, aveva rassicurato economisti e accademici delle intenzioni del governo di continuare lungo la strada delle riforme e delle aperture del sistema, misure, ha spiegato, che permetteranno di evitare l’hard landing e l’eccessivo deprezzamento del renminbi, la valuta cinese. La crescita del 2015, ha poi sottolineato Li, avrebbe potuto essere superiore al dato finale del 6,9% – ai minimi degli ultimi 25 anni – se le condizioni internazionali fossero state più favorevoli.

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