L’opinione diffusa all’inizio del 2017 circa un potenziale rafforzamento del $ è stata messa in discussione, dal momento in cui la nuova amministrazione degli Stati Uniti è stata messa sotto attacco e accusata da Cina, Europa e Giappone di perseguire politiche valutarie deboli.
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Il settore delle materie prime continua ad essere protagonista di un crescente divario tra una forte domanda di investimenti e una performance sottotono dei prezzi. Il Bloomberg Commodity Index è rimasto pressoché invariato quest’anno. Nello stesso periodo, le posizioni net-long delle 22 materie prime principali hanno toccato livelli record.
La stabile convinzione nella capacità dell’Opec di tagliare la produzione di petrolio e ribilanciare il mercato è stata il driver principale della crescita, con WTI e Brent che hanno registrato una forte domanda. I metalli preziosi hanno recuperato terreno in seguito al crollo dei prezzi della fine del 2016, legato alla crescente incertezza circa l’impatto delle politiche economiche e geopolitiche di Trump. I metalli industriali, come il rame, sono stati supportati dalle preoccupazioni circa possibili interruzioni delle forniture causate dagli scioperi.
Anche la direzione futura del dollaro americano ha un ruolo attivo in questo scenario. L’opinione diffusa all’inizio del 2017 circa un suo potenziale rafforzamento è stata successivamente messa in discussione, in particolare dal momento in cui la nuova amministrazione degli Stati Uniti è stata messa sotto attacco e accusata da Cina, Europa e Giappone di perseguire politiche valutarie deboli. L’effetto immediato di questo intervento verbale è stato l’indebolimento del dollaro pari a circa il 2% nei confronti delle principali valute dall’inizio di quest’anno.
Il petrolio grezzo rimane stabile, mentre il gas naturale è scivolato a causa della riduzione della sua domanda in vista dell’uscita dalla stagione invernale.
I metalli preziosi sono stati protagonisti di un rally in risposta all’indebolimento del dollaro e ad un’allocazione in “porti sicuri” vista l’incertezza legata al nuovo Presidente degli Stati Uniti. Dopo aver toccato il punto più alto in 11 settimane, l’oro si è riassestato prima del report mensile sull’occupazione USA dello scorso venerdì, che non ha offerto indicazioni rilevanti per il breve termine.
I prezzi di WTI e Brent sono rimasti pressoché stabili negli ultimi mesi, supportati da un aumento della domanda speculativa in risposta alle aspettative relative all’effettiva implementazione dei tagli alla produzione. Di contro, la prospettiva di una forte ripresa della produzione di Stati Uniti e di un maggiore output da parte della travagliata Libia ha permesso di contenere la crescita.
L’oro è riuscito a recuperare quasi il 50% di ciò che ha perso durante la “Trump dump” in seguito alle elezioni dello scorso novembre. L’incontro profittevole del Federal Open Market Committee, il dollaro più debole e le preoccupazioni generali legate alle notizie provenienti dalla Casa Bianca hanno contribuito a supportare il mercato.
L’andamento del dollaro continua a rappresentare uno dei principali driver per il recupero in atto da metà dicembre. Teniamo quindi i riflettori puntati sulla battaglia tra un ampio differenziale di tasso di interesse a supporto di valute chiave quali EUR e JPY da un lato, e l’intervento verbale della Casa Bianca contro il dollaro forte dall’altro.
di Ole Hansen, Head of Commodity Strategy di Saxo Bank