Le ‘major’ della Silicon Valley finiscono tra due fuochi. Negli Stati Uniti e nell’Unione europea si stanno creando due fronti trasversali, che per ragioni diverse, vogliono realizzare una ‘stretta’ ai colossi. In America per evitare dei ‘monopoli di fatto’ e in Europa per la scarsa tassazione (web tax) a cui sono sottoposte, visti i lauti guadagni.
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Washington, rivolta contro i colossi della Silicon Valley
Un tempo erano i buoni, adesso i colossi tecnologici sono sempre più presi di mira da entrambi i partiti del Congresso Usa. A Washington c’è un forte consenso sul fatto che Google, Facebook e soci debbano rispettare le regole e avere minore potere.
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Un consenso che unisce tutto lo spettro politico, dalla destra nazionalista di Steve Bannon alla sinistra liberal di Elizabeth Warren. Entrambi hanno chiesto nuove regole più severe: Bannon chiede che siano regolamentati come se fossero utenze pubbliche, dall’altra Warren sostiene che Google, Facebook, Amazon e Apple tendano in modo inevitabile a violare l’antitrust e a creare enormi monopoli. “La Silicon Valley è passata dall’essere un eroe a essere un cattivo”, ha detto al Guardian, Vivek Wadhwa, professore alla Carnegie Mellon University.
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Se da sinistra gli attacchi sono focalizzati sulla tendenza al monopolio, da destra i grandi gruppi tech vengono definiti come liberal, globalisti e allo stesso tempo contrari alle posizioni sui confini e sull’immigrazione. Allo stesso tempo la questione dei dati e della privacy sta iniziando a preoccupare i politici a Washington. Di recente un rappresentante repubblicano alla Camera dei deputati, Marsha Blackburn, ha presentato una bozza di legge (poi bocciata) che avrebbe obbligato Facebook e Google a chiedere il consenso dei suoi clienti prima di usare o vendere informazioni dei suoi utenti.
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L’economia digitale cambia “profondamente” il modo di fare business e quindi “il modo in cui deve essere tassato”. Per questo serve “una profonda revisione dell’attuale sistema di tassazione, per assicurare un fisco efficiente, equo e trasparente”: lo scrivono Italia, Francia, Germania e Spagna in un documento congiunto circolato alla vigilia del vertice di Tallin sul digitale, dove i capi di Stato e di governo Ue discuteranno della web tax e delle sfide ed opportunità del digitale.
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I quattro Paesi, già autori dell’iniziativa che proponeva di tassare il fatturato delle imprese digitali, chiedono ora anche una riflessione sull’Iva. Bisogna assicurare che “lo stesso contenuto, bene o servizio sia soggetto a Iva nello Stato di consumo, senza pensare alla sua natura fisica o digitale”, scrivono i quattro governi. Perché bisogna fare in modo che “i nuovi modelli di business siano tassati efficacemente”.
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“Non ha senso applicare un doppio standard che in ultima analisi altera le condizioni della concorrenza”. Sulla web tax, il documento ribadisce l’approccio dell’Ecofin cioè che “servono cambiamenti” alla legislazione “per assicurare che i profitti tassabili siano attribuiti dove viene generato il valore, per evitare l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti (BEPS)”. Bisogna però cambiare l’attuale sistema, “basato sullo stabilimento permanente” delle imprese, perché è un approccio “non adatto al business digitale”, che ha una ridotta presenza materiale. “Questo ha portato ad una situazione di mancate entrate per quei Paesi dove le aziende generano profitti in modo remoto”, cioè “con scarsa o nessuna presenza”.
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E “spiana la strada a una evasione sistematica”. Secondo i quattro, “la Ue è il contesto più appropriato per definire un approccio comune che possa agire come leva per una soluzione globale”, cioè a livello Ocse o G20. “Perciò chiediamo al Consiglio di discutere e decidere in fretta – e sulla base della proposta della Commissione in linea con l’approccio G20/Ocse – le misure necessarie per affrontare le sfide della tassazione digitale, mentre sosteniamo il progresso tecnologico”.