Signora Cancelliera, lei ha detto che i preparativi per il prossimo vertice del G20 sembravano quasi un’impresa impossibile.
«Ora si cerca la quadratura del cerchio (ride). No, la situazione resta impegnativa, data comunque la varietà politica presente al G20. Inoltre, a ciò si aggiunge il fatto che gli Stati Uniti d’America hanno deciso di uscire dall’Accordo sul clima di Parigi. Tuttavia, i negoziati del G20 non cominciano con le conferenze dei capi di Stato e di governo, bensì con il lavoro fatto dagli sherpa già molti mesi prima per raggiungere un consenso, altrimenti non si possono approvare decisioni».
Quale potrebbe essere un buon risultato?
«Qualcosa che mostri che ci occupiamo in modo adeguato delle sfide globali, ma che allo stesso tempo non nasconda il dissenso. L’accordo sul clima, ad esempio, di fatto non è competenza del G20, ma un processo delle Nazioni Unite. Tuttavia, durante i precedenti vertici del G20 ci siamo sempre espressi a riguardo in maniera congiunta, e proprio per questo il tema avrà la sua importanza. È e rimane una decisione deplorevole quella degli Stati Uniti di voler abbandonare l’Accordo di Parigi. Tuttavia ci sono anche molti Stati americani che continueranno a collaborare. Inoltre, si tratta di un accordo a lungo termine che avrà effetti per tutto il secolo. Dobbiamo agire ora per prevenire conseguenze a lungo termine: ciò vale per i cambiamenti climatici, ma anche per i temi relativi all’Africa o ai rischi sanitari».
Di fronte all’ordine mondiale deregolamentato, l’opinione pubblica bada molto anche ad altre questioni: l’Occidente continua a esistere? L’Europa unisce le forze con la Cina in materia commerciale? Quali sono i principi che effettivamente valgono: unilateralismo, multilateralismo, multipolarità? Qual è il suo messaggio al riguardo?
«Il fatto che siano presenti 20 Paesi, insieme all’Unione europea, alle organizzazioni internazionali, alle organizzazioni regionali asiatiche e africane, e che tutti siano impegnati in un processo di consultazione e collaborazione permanente; in un’era dominata dalla mancanza di dialogo, tutto ciò costituisce un valore intrinseco. È vero che l’ordine mondiale è in cambiamento e che i rapporti di forza si modificano. Ciò ha a che fare con l’ascesa della Cina, ma anche l’India compie grandi passi con un tasso di crescita di più del 7 per cento, di gran lunga superiore a quello cinese. Entrambi i Paesi hanno 1,3 miliardi di abitanti circa, fattore decisamente significativo. A ciò si aggiunge il fatto che l’amministrazione americana e il presidente Trump giudicano la globalizzazione in modo diverso rispetto a noi tedeschi. Mentre noi cerchiamo di cogliere le possibilità che derivano dalla collaborazione sotto ogni aspetto, agli occhi dell’amministrazione americana la globalizzazione è un processo in cui non possono esserci situazioni win-win, ma solo vincitori e perdenti».
H. R. McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, considera il mondo un’arena. Lui non crede in una comunità globale.
«Si oppone totalmente al mio punto di vista. Il G20 stesso è un esempio calzante di come il mondo sia riuscito a venir fuori dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009 attraverso la collaborazione internazionale, con vantaggi per tutti. Sicuramente, il presidente Trump è stato eletto da molti che guardano alla globalizzazione in modo scettico, e si sente in obbligo nei confronti di questi elettori. Ma già da molto tempo l’Fmi, l’Ocse e anche il G20 non parlano semplicemente di crescita, bensì di crescita inclusiva e sostenibile. Non vogliamo che siano soltanto in pochi a trarre vantaggio dai progressi economici. Tutti ne devono beneficiare. In qualità di rappresentante dello stato dell’economia di mercato sociale, è in questo spirito che voglio condurre il vertice del G20. Perciò ho invitato già prima del summit tutti i partecipanti europei del G20 a Berlino, anche Gran Bretagna, Francia, Italia, Spagna, Norvegia e Paesi Bassi, nonché le istituzioni della Ue. Rappresentiamo convinzioni comuni, che saranno presentate al vertice».
Quindi volete che l’Europa agisca in modo unitario?
«Sì, è sensato che l’Europa unisca le forze».
Nel complesso, crede che l’Occidente possa ancora agire in modo unitario?
«Sì, in alcune questioni, ma in altre no».
Quindi no! Prima c’era sicuramente più Occidente, giusto?
«No, non ho detto questo. C’era più unità, c’era una visione comune del mondo. Ora non è più così su tutti gli argomenti. Ma non significa che non possiamo trovare basi comuni in alcuni settori».
A ciò si accompagna una perdita di importanza di potere degli Stati Uniti?
«Non saprei. L’importanza del potere deriva dalla forza economica, militare e civile, e in tutti questi tre settori gli americani rappresentano ancora una potenza mondiale, come del resto dimostrano i forti dibattiti interni. Evidentemente, l’amministrazione americana non vuole più rappresentare il “poliziotto” che stabilisce l’ordine in tutte le regioni del mondo. La si può considerare sia una buona che una cattiva notizia, a seconda dei casi. A tale proposito: negli ultimi decenni gli americani si sono presentati ovunque come una potenza. E ciò, per usare un eufemismo, può essere visto anche in maniera critica».
Ma gli Stati Uniti lasciano un vuoto significativo, giusto?
«Sì, di fatto questa è una grande sfida. Ad esempio, se gli americani un giorno dicessero di non voler più prendere parte alla lotta contro il terrorismo internazionale sarebbe un vero problema. Resta il fatto che abbiamo un interesse comune in materia di sicurezza e di pace, e pertanto anche obiettivi comuni da perseguire».
Dopo il ritorno dal G7 in Sicilia ha provato a incoraggiare gli europei? Come ha affermato a Trudering: «I tempi in cui ci si poteva completamente fidare degli altri sono parte del passato, è ciò che ho sperimentato negli ultimi giorni». Riaffermerebbe la stessa cosa?
«Sì, è esattamente così. Non si può più essere sicuri del fatto che gli Stati Uniti investano come hanno fatto finora nelle Nazioni Unite, nella politica in Medio Oriente, nella sicurezza europea o nelle missioni di pace in Africa. Diventa sempre più chiaro quanto sia importante costruire un partenariato con l’Africa e con gli altri continenti. È nel nostro interesse e fa parte del nostro impegno europeo».
Perché l’America, il cui Pil ammonta quasi a quello dell’Ue, dovrebbe impegnarsi così tanto nei nostri conflitti orientali e meridionali?
«Ci siamo abituati a questo impegno, poiché sin dai tempi della Guerra Fredda riconoscevamo negli Stati Uniti una grande potenza in opposizione all’Unione Sovietica, e si presumeva che volessero questo ruolo. Dopo la caduta del Muro apparivano l’unica superpotenza rimasta. Oggi il mondo è multipolare. Ma a ragione: effettivamente gli americani non hanno il diritto di intervenire in qualsiasi parte del mondo. Probabilmente gli Stati Uniti non saranno coinvolti nelle misure in Africa, come sarebbe necessario».
Concretamente, cosa dovrebbero fare gli europei per potersi fidare di se stessi?
«Abbiamo un ampio numero di compiti da affrontare: la difesa delle frontiere esterne, un registro europeo d’entrata e di uscita, un servizio di intelligence privata, solo per citare alcuni esempi. Ma dobbiamo anche considerare la politica energetica e la questione del clima».
Con ciò intende dire che serve anche un budget comune per i Paesi dell’euro zona o un ministero delle Finanze europeo, come si augurerebbe il presidente francese Emmanuel Macron?
«Sì, servono anche misure per rafforzare la moneta comune e garantire la necessaria evoluzione dell’eurozona e del mercato unico e di quello digitale. Necessitiamo di un governo economico? Io sono totalmente a favore. Un ministro delle Finanze europeo? In linea di principio sì, perché sono due idee importanti. Ma per entrambe bisogna anche rispondere alle questioni pratiche, ossia come dovrebbe essere la costruzione. Ci sono opinioni molto diverse in Europa. Con una base giuridica comune è possibile immaginarsi tanto. Insieme con Emmanuel Macron affronteremo tutti questi temi. Dobbiamo sempre ricordare i nostri obiettivi quando diciamo che l’Europa dovrebbe prendere il proprio destino nelle proprie mani, ossia: mantenere i nostri valori e interessi europei, creiamo ricchezza e nuovi posti di lavoro negli Stati membri».
Un anno fa si sarebbe immaginata un incontro ad Amburgo con Putin, Trump e Erdogan dopo il colpo di stato in Turchia?
«Quello che avrei immaginato un anno fa non importa: dobbiamo prendere le cose come sono. In qualità di presidente del G20 ho il compito di pensare alle possibilità di integrazione. Allo stesso tempo non possiamo dimenticare le differenze».
Il G20 non solo è un evento mondiale, ma avrà anche luogo su un palcoscenico. Teme ci possano essere manifestazioni violente?
«Sono convinta che la Germania sarà all’altezza di un forum globale di tale portata. Credo che Amburgo rappresenti una metropoli mondiale».
Gli abitanti ne saranno onorati!
«Amburgo dispone di uno dei più importanti porti del mondo, per prodotti provenienti da tutto il pianeta, è una città cosmopolita, con una lunga tradizione in questo senso, e vuole rimanere tale. Inoltre vanta molti progetti ambiziosi: HafenCity, la Filarmonica dell’Elba. Tutto ciò crea identità e ne siamo fieri».
Comprende le preoccupazioni della città?
«Sono ben consapevole che il G20 pretende qualcosa dai cittadini di Amburgo. La città è circondata da elicotteri, sono stati previsti blocchi e altre restrizioni. Ciò imporrà limitazioni alla vita quotidiana in alcune zone della città. Posso quindi solo chiedere la comprensione dei cittadini».
E la violenza?
«Non v’è alcuna giustificazione per le proteste violente. Sono sicura che la polizia farà tutto il possibile per evitarle. Rispetto le dimostrazioni pacifiche, poiché rispettano i diritti democratici. Ma chi esercita violenza non fa che schernire la democrazia».
Duecento poliziotti di Berlino sono stati mandati via per cattiva condotta.
«Naturalmente non è stato un bene».
Contemporaneamente a questa intervista, pubblicheremo una conversazione con Recep Tayyip Erdogan. Ha un messaggio particolar per lui?
«Tengo molto a cuore la nostra coesistenza pacifica con le persone di origine turca in Germania. Per milioni di loro la Germania è una casa, dove poter trovare opportunità, così come tutti. Allo stesso modo, spero in relazioni ragionevoli con la Turchia, anche se so che i problemi attualmente si accumulano e vediamo ben altro che il presidente Erdogan e il suo governo. Sono sempre disposta ad un ravvicinamento Ma in qualità di Cancelliera tedesca non rinuncerò a chiedere il rilascio di Deniz Yücel e degli altri giornalisti».
Nelle ultime settimane l’ha tormentata l’aver assistito, a malincuore, all’amarezza degli ultimi anni di Helmut Kohl?
«Rispetto e rendo onore a Helmut Kohl per le sue eccezionali conquiste nella vita. A me personalmente ha offerto fin troppe opportunità. Tutto il resto svanisce, come ho già detto sabato alla cerimonia commemorativa europea a Strasburgo, la più commovente e toccante».
(Traduzione Studioeffe, copyright Die Zeit)
Fonte: Corriere della Sera
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