di Niccolò Locatelli
(WSC) Roma – Kim Jong-un, leader supremo della Corea del Nord scomparso l’11 aprile, si è rifatto vivo tra lunedì 27 e venerdì 1° maggio.
Nel giorno della Festa dei lavoratori, la radio di Stato ha annunciato che Kim ha inaugurato una fabbrica di fertilizzanti a Sunchon, a un’ora di macchina a nord della capitale P’yongyang. Con lui c’erano la sorella Kim Yo-jong e alcuni dignitari del regime.
Venerdì 27 aprile, Kim aveva fatto gli auguri al Sudafrica in una lettera al presidente Cyril Ramaphosa (era la Giornata della libertà) e “mandato i suoi ringraziamenti” agli operai impegnati nella costruzione di un’area turistica presso Wonsan, sulla costa orientale del paese. Il sito 38th North nei giorni precedenti aveva pubblicato delle foto satellitari che mostravano presumibilmente il treno del leader supremo proprio a Wonsan, dove la famiglia ha un resort. Kim potrebbe dunque aver trascorso qui un periodo di convalescenza dopo un’operazione. Anche il governo della Corea del Sud riteneva che Kim fosse in quest’area, “vivo e vegeto“. Le voci relative all’arrivo in Corea del Nord di dirigenti politici e medici cinesi alimentano questa ipotesi, rimasta tale in attesa di conferme ufficiali.
L’assenza alle celebrazioni per l’anniversario della nascita del nonno e fondatore del paese Kim il Sung, il 15 aprile, aveva dato adito a speculazioni sulla sua sorte. Alcune fonti d’informazione avevano diffuso la voce che Kim fosse in condizioni critiche o addirittura morto per complicanze legate a un intervento di chirurgia cardiovascolare.
Il regime nordcoreano è particolarmente impenetrabile e i suoi esponenti di vertice non sono nuovi ad assenze anche prolungate dalle scene. Lo stesso Kim Jong-un nel 2014 scomparve per oltre un mese.
Diffondere ai media indiscrezioni sulla morte o sulla salute precaria del leader supremo è anche un tentativo dell’intelligence dei paesi vicini – oltre che degli Usa – di costringere lui (se ancora vivo) o il regime a venire allo scoperto.
La morte di Kim Jong-il, figlio di Kim il Sung e caro leader dal 1994, fu annunciata dalla televisione nordcoreana il 19 dicembre 2011, due giorni dopo la data ufficiale del decesso, cogliendo di sorpresa tutto il mondo. Nella stessa occasione fu reso noto il nome del successore, il figlio Kim Jong-un. In assenza di una comunicazione ufficiale da parte dei media di regime, qualsiasi voce sulla sorte del presidente nordcoreano è da ritenersi infondata e strumentale.
Il giovane Kim (nato l’8 gennaio 1983 o ’84) ha raggiunto un obiettivo strategico fondamentale di P’yongyang: farsi riconoscere come potenza nucleare de facto dalle principali potenze mondiali, a cominciare dagli Stati Uniti. Riuscendo contemporaneamente a mantenere il legame con la Cina – storico per quanto tiepido protettore del paese vicino e principale rivale strategico di Washington – e a riavvicinarsi alla Corea del Sud da una posizione non di sudditanza.
Kim Jong-un è stato il primo leader nordcoreano a incontrare un presidente degli Stati Uniti in carica – Donald Trump. I due si sono visti a Singapore (giugno 2018), Hanoi (Vietnam, febbraio 2019) e lungo il 38° parallelo, che dall’armistizio del 1953 è il confine tra le due Coree (giugno 2019). In quest’ultima occasione, Trump è divenuto il primo presidente in carica a entrare – brevemente – in Corea del Nord. Jimmy Carter aveva visitato il paese eremita nel 1994, quasi quindici anni dopo la fine del suo unico mandato alla Casa Bianca (1977-1980).
I test nucleari e missilistici effettuati prima che Kim si sedesse con Trump al tavolo delle trattative hanno messo P’yongyang in una posizione di forza relativa. Un attacco ai suoi danni da parte degli Usa, oltre a essere gravido di conseguenze nei rapporti con la Cina, avrebbe ormai un costo elevatissimo in termini di vite umane.
L’arsenale atomico, oltre ad accrescere il potenziale negoziale, è l’assicurazione sulla vita del regime nordcoreano; è impensabile che quest’ultimo lo smantelli, malgrado le sanzioni internazionali che peggiorano una situazione economica già disastrosa e malgrado le vaghe promesse fatte agli americani. Kim si è impegnato a contribuire alla “denuclearizzazione completa” della Penisola coreana, che però è un’utopia, visto che implicherebbe non solo la rinuncia del Nord alla Bomba, ma anche il ritiro dell’ombrello nucleare statunitense che attualmente protegge il Sud e il Giappone.
Sotto questo decisivo aspetto, l’eventuale morte di Kim Jong-un, quando avverrà, non cambierà nulla. Chiunque gli succedesse – che sia un militare, un membro del Partito dei lavoratori o un parente, ad esempio la sorella Kim Yo-jong – avrebbe condiviso le scelte strategiche degli ultimi decenni o avrebbe un margine molto ristretto per prendere una decisione che sarebbe contraria agli interessi del regime. La vicenda del leader libico Muammar Gheddafi illustra piuttosto chiaramente gli svantaggi della rinuncia al deterrente nucleare.