Se rapportiamo il monte-cedole al valore della borsa a fine 2015, è del 3%. Ai livelli attuali, invece, vale il 3,44%. Niente affatto male, in un’era come l’attuale di rendimenti zero o addirittura negativi.
Piazza Affari distribuirà quest’anno poco più di 17,5 miliardi di euro di dividendi agli azionisti, in relazione ai risultati realizzati dalla società quotate nel 2015. Al termine dello scorso anno, il valore della capitalizzazione complessiva di Milano si aggirava intorno ai 577 miliardi di euro. L’inizio del 2016 non è stato fecondo, anzi la nostra borsa è arrivata a cedere oltre un quarto del suo valore, ma nelle ultime settimane ha recuperato parzialmente il calo accusato, in linea con il trend sui mercati finanziari globali. Il segno meno resta, tuttavia, ed è di quasi il 12% rispetto ai livelli del 31 dicembre scorso.
Se rapportiamo il monte-cedole al valore della borsa a fine 2015, esso è del 3%. Ai livelli attuali, invece, vale il 3,44%. Niente male affatto in era di rendimenti zero o negativi.
Dividendi crescono, prezzo azioni in calo
La buona notizia per gli azionisti è anche che le società quotate hanno aumentato i dividendi dell’8% rispetto al 2014, nonostante l’utile netto complessivo registrato nello scorso esercizio sia sceso di quasi un quarto a 8,9 miliardi. Ma il dato è inficiato dalla maxi-perdita accusata dal colosso energetico Eni, pari a 8,46 miliardi nel 2015, a fronte della quale ha deciso di distribuire ugualmente un dividendo di 80 centesimi per azione, che nel totale ammonta così a 2,9 miliardi, un sesto della cedola complessivamente staccata da Piazza Affari.
Ai valori attuali, la cedola del Cane a sei zampe ammonta al 5,8% del prezzo delle azioni. Ma la palma d’oro spetta a Saras, la società di casa Moratti, che sullo scorso anno distribuisce un dividendo, pari al 12% del valore delle sue azioni, le quali al momento quotano 1,40 euro.
Rendimenti azionari 3 volte più alti di quelli dei bond
Più i prezzi delle azioni scendono, maggiori diventano le opportunità di guadagno degli investitori, nonché il rendimento potenziale dell’operazione di investimento. Il piccolo azionista, disinteressato alla gestione aziendale, punta a capitalizzare al massimo dal suo acquisto di titoli azionari, attraverso 2 vie: la cedola, ma soprattutto la plusvalenza realizzata dalla rivendita del titolo a un prezzo superiore a quello di acquisto.
In genere, la cedola rappresenta solo una percentuale marginale, trascurabile del guadagno complessivo dei soci, ma con il calo della borsa dei mesi scorsi e la tendenza delle società ad aumentare i dividendi per attirare i capitali, la musica sta cambiando. Non solo, in relazione ai minori corsi azionari, i dividendi iniziano a pesare in maniera significativa, arrivando persino alle 2 cifre, come nel caso di Saras appena visto, ma crescono anche i guadagni ottenibili dalla risalita dei prezzi dei titoli, che consentirebbe ai detentori di realizzare laute plusvalenze.
I rischi di un nuovo trend calante esistono, considerata la volatilità sui mercati finanziari in questa fase turbolenta, tra il rallentamento dell’economia cinese, la stretta USA e gli stimoli BCE. Ma forse vale la pena farci ugualmente un pensierino, specie se le alternative “sicure” sono quelle di questi mesi con i titoli di stato. Stando al monitoraggio della Banca d’Italia, nel 2015 i nostri BoT e BTp sono stati emessi mediamente al rendimento dell’1%. Il risultato tiene conto della ponderazione tra le varie scadenze. Si tratta di una percentuale 3 volte più bassa del rendimento ottenuto investendo nella borsa italiana.Certo, vero è che i rendimenti sovrani scontano una tassazione più leggera al 12,5% contro il 26% delle cedole, ma la differenza è così ampia tra questi, che il discorso non scalfisce quanto detto.
Anche nel caso dei bond, le prospettive di guadagno sono legate essenzialmente alle plusvalenze realizzabili con la rivendita del titolo o l’attesa della scadenza. Ma è chiaro che d’ora in avanti, stimoli o meno da parte di Francoforte, i corsi dei titoli potranno salire limitatamente, tenuto conto che i loro rendimenti sono già negativi per le scadenze medio-brevi dei principali paesi dell’Eurozona, viaggiando al minimo storico anche per il tratto a medio-lungo termine.
Si consideri, che un rendimento medio annuo del 3% non è oggi riscontrabile nemmeno per un BTp trentennale. E a differenza dei titoli di stato, tendenzialmente le azioni potrebbero impennarsi in maniera considerevole, se la ripresa economica attecchisse in Italia e nel resto dell’Eurozona. Viceversa, le prospettive di miglioramento metterebbero gli investitori in fuga dal mercato a reddito fisso, i cui prezzi potrebbero risentirne parecchio.
di Giuseppe Timpone
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da InvestireOggi, che ringraziamo