Se un prodotto arriva nella quotidianità dei cittadini europei è merito del mercato? In parte, ma certamente non del tutto. Perché alcuni di questi prodotti hanno bisogno, per così dire, di una “spintarella”, di qualcuno che ne caldeggi l’adozione. Le persone che fanno questo mestiere si chiamano lobbisti e non c’è nulla di male, se tutto avviene nella più assoluta trasparenza.
Il Corriere della Sera ha fatto i conti in tasca a queste figure professionali, basandosi su dati certi, depositati presso le istituzioni europee, eppure i risultati sono clamorosi. Perché poco meno di 12mila lobby spendono 1 miliardo e mezzo all’anno. “Esattamente 11.339 lobby. Sono le organizzazioni iscritte al Registro per la trasparenza dell’Unione europea al 18 luglio”, scrive il Corsera, e “complessivamente i lobbisti sono circa il doppio. Un esercito che si muove per Bruxelles (e per Strasburgo) e che ha accesso alla Commissione europea e al Parlamento. Rappresentano industrie, enti locali, studi legali, organizzazioni non governative, confessioni religiose, centri di studio. Ma sono anche lobbisti «puri» che lavorano per società di consulenza”.
Per fare il loro lavoro servono grandi somme. Per citare una vecchia battuta cult del compianto Paolo Villaggio, in uno dei più riusciti film della saga di Fantozzi, per ottenere qualcosa “tutto sta a unger bene le ruote”, suggeriva un colletto bianco allo sfortunatissimo ragioniere, incarnazione dell’uomo italiano medio degli anni Settanta e Ottanta, che cercava di sbloccare una pratica. Ma quella è la finzione scenica del grande schermo, la realtà è un’altra. “Per influenzare (o cercare di farlo) a loro favore il processo decisionale e legislativo che regola la vita di 510 milioni di cittadini Ue, in attività di «pubbliche relazioni» spendono complessivamente circa un miliardo e mezzo di euro all’anno”, scrive ancora il quotidiano milanese. “Ma chi spende di più? Il record di spesa — in base alla classifica stilata dalla Ong Corporate Europe Observatory — spetta allo European Chemical Industry Council che nel 2016 ha investito per 12,1 milioni per sostenere le industrie chimiche. Segue Eurochambres, l’associazione delle camere di commercio e industria europea, con 7,6 milioni. Al terzo posto pari merito, la Fleishman-Hillard, una delle più grandi società di Pr nel mondo, e la Insurance Europe con spesa annua stimata compresa tra 6,75 e 7 milioni”.
E “tra i «singoli», spiccano i big del petrolio ExxonMobile e Shell (entrambe con circa 4,5 milioni) e le tech Google e Microsoft con poco meno”. Chimica e petrolio, in poche parole. Un loop spazio temporale, direbbero i più acculturati. Ma si tratta semplicemente del solito “déjà-vu”.