La ripresa è stata così veloce che il nuovo premier ha potuto cancellare le misure considerate più odiose: l’orario di lavoro è tornato a 35 ore, la festa della rivoluzione è stata ripristinata, i salari pubblici sono stati rialzati.
I Pastéis de Belém del Café Pastelaria vanno alla grande. Appena tre anni fa le piazze portoghesi erano piene di rabbia, oggi la folla dei turisti di Sintra restituisce l’immagine di un risveglio collettivo. Ci sono momenti in cui i confronti fanno impressione. Lisbona, maggio 2011: il governo chiede all’Europa un programma di assistenza da 78 miliardi di euro, il Portogallo è pressoché fallito. Il deficit pubblico supera l’11 per cento, il debito è schiacciato dalle conseguenze della crisi finanziaria. Sei anni dopo il Paese dei garofani è una delle economie più dinamiche dell’area euro. Nel solo primo trimestre la crescita ha fatto un balzo dell’un per cento, e vale due volte e mezzo quella dell’Italia. Il deficit pubblico è al 2 per cento, il più basso dal 1974, la disoccupazione è al 9,4, il livello del 2008.
Ai politici capita spesso la fortuna di tagliare nastri che dovrebbero condividere con i predecessori: il premier Antonio Costa è fra questi. La narrazione del governo di sinistra dà tutti i meriti alla fine dell’austerità. La Troika aveva in effetti imposto grossi sacrifici: l’aumento per legge dell’orario di lavoro a 40 ore, il taglio di cinque festività, la riduzione dei salari pubblici e delle pensioni. In Portogallo l’austerità c’è stata davvero, e se ne è fatto carico il governo di Pedro Passos Coelho. In cinque anni il disavanzo è sceso di oltre sei punti, le tasse sono salite e le spese sono scese più di quanto non sia accaduto in nessun altro Paese europeo. Già nel 2015 la crescita era all’1,6 per cento, il doppio di quella italiana. Dei quasi trenta miliardi ricevuti dal Fondo monetario, la metà sono stati già restituiti in anticipo.
La ripresa è stata così veloce che il nuovo premier ha potuto cancellare le misure considerate più odiose: l’orario di lavoro è tornato a 35 ore, la festa della rivoluzione è stata ripristinata, i salari pubblici sono stati rialzati. Basta però non confondere cause con effetti. «Non possiamo fare tutto quel che ci passa per la testa», ammette spesso in pubblico Costa. «Dobbiamo essere responsabili, l’Europa è un club in cui vanno rispettate le regole». Il saldo primario del Portogallo è il secondo dell’area euro, e se c’è una critica che la Commissione ora rivolge a Costa è che per aumentare la spesa corrente ha ridotto al minimo gli investimenti pubblici. I consumi interni salgono ma solo lievemente – quest’anno del 2,3 per cento, appena due decimali in più del 2016 – il settore bancario resta gravato da problemi simili a quello italiano. Se lo segnino i detrattori del salvataggio delle banche venete: a marzo la Commissione europea ha detto sì alla ricapitalizzazione pubblica della Caixa Geral de Depòsitos per poco meno di quattro miliardi.
Eppure il Paese corre più di quanto gli stessi portoghesi non si aspettassero, e le ragioni sembrano quelle che per converso zavorrano l’economia italiana. Primo: il governo di Costa è stabile. «Più stabile di quanto non si immaginasse all’inizio», racconta Rui Peres Jorg del Jornal de Negòcios. «Tutti credevano che la coabitazione dei socialisti con i comunisti non sarebbe potuta durare a lungo». Secondo: la forza dell’economia, che ha riscoperto la vocazione all’export.
Secondo i calcoli di Oxford Economics quest’anno i volumi saliranno del 7,7 per cento, più del doppio dell’Italia, ferma al 3,6. Il governatore della Banca del Portogallo Carlos da Silva Costa allarga le braccia e il sorriso: «Questa è la dimostrazione che le medicine per quanto amare danno frutti. I politici fanno il loro mestiere, e li dobbiamo rispettare per questo. Ma il successo dell’economia portoghese oggi non ha nulla a che vedere con la fine dell’austerità, né della crisi. Questa crescita è endogena. Le imprese qui creano valore e sono premiate sui mercati internazionali: macchinari, auto, calzature. La crisi e il programma di aiuti hanno risvegliato l’orgoglio dei portoghesi, che si sono rialzati e rimboccati le maniche». L’illusione della crescita per legge è l’alibi di chi non ha voglia di rimboccarsele.
Fonte: La Stampa