Il 7 settembre, mentre Draghi rinviava ogni decisione sul Qe ad ottobre, il più modesto programma di acquisto di titoli corporate toccava la simbolica quota di 1.000 missioni acquistate per un totale di 107 miliardi di euro. Sembra una piccola cifra rispetto ai 1.700 miliardi del debito pubblico, ma i benefici per i costi di finanziamento delle grandi imprese sono enormi. Dall’avvio a giugno 2016, i rendimenti delle nuove emissioni high yeld (cioè le più rischiose) sono scesi di 250 punti base. Sono aumentati inoltre i controvalori piazzati in asta, visto che la Banca centrale nel 15% interviene sul mercato primario. Addirittura il 21,7% delle obbligazioni è stato acquistato a tasso negativo, cioè in perdita per la Bce.
Le imprese dunque possono indebitarsi di più, offrendo meno rendimenti per investire nell’economia reale. Certo per le imprese che non hanno i requisiti per accedere al programma, i benefici sono di gran lunga inferiori (+120 punti base).
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Guardando al dettaglio delle emissioni acquistate dalla Bce è possibile stimare come siano la grande industria tedesca e francese a fare la parte del leone, con circa 53 miliardi di obbligazioni (il 49% del totale): chimica, automotive, telecomunicazioni, tutti settori che hanno beneficiato di condizioni di finanziamento straordinariamente favorevoli. Non è un caso che in Germania gli investimenti in capitale fisico delle imprese abbiano raggiunto a luglio 2017 il massimo storico di 147 miliardi di euro. C’è da dire che la Bce ha acquistato anche una buona quota di titoli italiani (si stimano 15 miliardi), che però riguardano essenzialmente le grandi aziende e le principali utilities (Eni, Acea, A2A). Manca una reale diversificazione degli acquisti su settori strategici per l’economia nazionale (manifatturiero, meccanica) per via della dimensione medio-piccola del nostro tessuto industriale. Il risultato è che la maggioranza delle imprese italiane che avrebbe bisogno di credito agevolato non ne ha la possibilità.
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Tra gli investitori, corre invece meno entusiasmo. I rendimenti delle emissioni investment grade – cioè le meno rischiose – sono così basse che per raggiungere i propri obiettivi di performance i gestori dei fondi comuni (e di quelli pensione) sono costretti ad accollarsi molto più rischio di quanto desidererebbero. Il mercato è chiaramente drogato dalla forte domanda della Bce. Lo scollamento tra (alto) rischio e (basso) rendimento sta crescendo e nelle ultime settimane le obbligazioni high yield europee quotano oramai un rendimento quasi pari a quello dei titoli di Stato Usa! Il differenziale è al minimo storico di 55 punti base.
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Questa situazione di distorsione del mercato non è sostenibile lungo. La Bce, forse proprio ad ottobre, delineerà una exit strategy anche dal Qe sui corporate bond. Non a caso negli ultimi tre mesi il ritmo degli acquisti è sceso dai 7 miliardi al mese a circa 4, in analogia con quanto sta succedendo sui titoli di Stato. A quel punto anche per le imprese europee (soprattutto tedesche, stavolta) la pacchia del Qe sarà finita.
di Marcello Minenna