Casaleggio, scontro con il direttorio e Di Maio. Il cofondatore del M5S minaccia: “Basta pressioni, altrimenti vado via anch’io”

«Ora basta, mi avete stancato. Se volete mandare via lei vado via anch’io e vi lascio al vostro destino». A tanto è dovuto ricorrere Gianroberto Casaleggio, sia pure …

«Ora basta, mi avete stancato. Se volete mandare via lei vado via anch’io e vi lascio al vostro destino». A tanto è dovuto ricorrere Gianroberto Casaleggio, sia pure con la sua ira fredda, davanti a Luigi Di Maio e agli altri membri del direttivo, che erano saliti a Milano per porgli la questione della sostituzione di una figura importante, nel Movimento cinque stelle: la capa della comunicazione alla Camera, Ilaria Loquenzi. Ma la storia che vi raccontiamo va molto oltre il caso singolo: racconta a che punto è la vita dentro quella che resta la seconda forza italiana, ancora accreditata di una massa di voti imponente. Qualcosa che interessa tutti.

 

E allora, per dirla chiaro: è in corso una scalata non dichiarata dentro il Movimento. Non raccontata, spesso neanche vista, consiste nel tentativo (sempre meno frenato da timidezze e antiche, se mai esistite, gratitudini), nato dentro il direttivo (ma non da tutti condiviso), di agire in solitudine, sottraendo a Milano il ruolo guida. È come se nel M5S si stesse materializzando uno spettro sempre paventato, e spesso utilizzato strumentalmente, però si stesse realizzando in modalità clamorose: non sono i vecchi dissidenti, tanto meno gli epurati, a cercare di sfilare il giocattolo di mano ai suoi due fondatori, sono gli stessi cocchi di Casaleggio che ormai isolano Casaleggio.

 

I due fondatori non sono mai stati così deboli. Per diversissime ragioni, Grillo perché è un impolitico che – lo si creda o no – a parte le uscite umorali non ha mai davvero dettato la linea; l’altro perché, oltre che impolitico, è anche distopico, talmente distante dalla politica da non riuscire a comprendere, asserragliato a Milano, cosa stava succedendo a Roma. Il direttivo, che tutti vi hanno raccontato come ennesima imposizione e diktat di Grillo e Casaleggio, è invece già dalla nascita il segno della loro debolezza. Ora quella debolezza viene sempre più al pettine.

 

È per questo, tra l’altro, che la figura del capo della comunicazione è stata tradizionalmente importante per il Movimento cinque stelle. Intanto è una delle poche nomine che Grillo e Casaleggio si sono sempre tenute per sé (lo hanno scritto nel non-statuto e nel regolamento), e che non spetta all’assemblea. Il capo della comunicazione doveva essere un super-super capogruppo parlamentare, una figura di fatto molto politica che tenesse i rapporti tra Roma e Milano, tra una base parlamentare spesso (con alcune, minoritarie e lodevoli eccezioni) impreparata e vogliosa solo di visibilità, e i capi. Che decidesse chi mandare in tv, cosa riferire o non riferire a Casaleggio. Ecco: La Loquenzi, ex collaboratrice di Roberta Lombardi, non è mai piaciuta alla maggioranza dell’assemblea. Le è sempre stato fatto un contratto di tre mesi in tre mesi. Come mai, ora, Di Maio e il direttivo accettano di andare a porre il problema a Casaleggio?

 

In pole per sostituirla c’è Silvia Virgulti, una professionista che tenne alla Casaleggio i corsi per i dieci deputati selezionati per andare in tv. Virgulti è una parmense molto vicina politicamente a Di Maio, fu presentata a Casaleggio dai fratelli Pittarello (uno dei quali, Filippo, lavora in azienda, ebbe un ruolo importante nella fase aurorale del Movimento, è amico di Davide, il figlio del cofondatore). Morale: Casaleggio ha detto no, ma è sempre più solo; a parte il fedele Rocco Casalino, ex del Grande Fratello, poi capo della comunicazione al Senato.

 

Cosa può succedere adesso? Di Maio è sempre più attrezzato per trattare col Pd e Renzi, ha anche una sua ministruttura, dotata di suoi uomini. Lo ha fatto sulla legge sugli ecoreati (suscitando malumori, perché molti nel M5S la giudicano troppo annacquata), lo farà sul reddito di cittadinanza. E nel Movimento non sono in pochi a dire che in fondo la legge elettorale renziana piace: ritagliata su chi arriva primo, ma anche su chi arriva secondo. Ma prima serve un parricidio.

di Jacopo Iacoboni

Questo articolo e’ stato orginariamente pubblicato da La Stampa

Tag

Partecipa alla discussione

1 commento

  1.   

    Anche se il M5S mi sta sullo stomaco, devo dire che Casaleggio e Grillo hanno veramente fatto il loro tempo ed è ora che lascino il posto ai giovani rampanti alcuni obbiettivamente validi. Poi bisognerà vedere se avranno lo stesso successo oppure l’immaturità evidente di molti di loro lascerà il segno.