Oltre il 70% dei dipendenti delle quattro banche commissariate aveva investito i risparmi in azioni e obbligazioni degli stessi istituti. Lo dice la Federazione autonoma dei bancari italiani (Fabi) in un comunicato diffuso oggi.
Secondo il sindacato, “nel Gruppo Banca Marche i lavoratori in possesso di azioni od obbligazioni subordinate sono 2.210 su 2800 dipendenti totali, in Carife sono oltre 500 su un totale di mille addetti, in Banca Etruria su 1700 dipendenti, 1200 sono titolari di azioni, mentre 100 hanno in portafoglio obbligazioni subordinate in proprio e circa 400 nel nucleo familiare per un controvalore di 3,8 milioni di euro”. “Solo in Carichieti si va in controtendenza: su 700 dipendenti circa 25 hanno sottoscritto obbligazioni subordinate dell’istituto”.
“Questo la dice lunga rispetto alle accuse, assolutamente infondate, che da alcuni ambienti sono state indirizzate ai lavoratori dei quattro istituti”, conclude Lando Maria Sileoni, Segretario generale Lando Maria Sileoni. Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti sono state salvate con un decreto che ha attivato il Fondo di risoluzione pagato dalle banche per 3,6 miliardi, dopo aver azzerato tutte le azioni e 788 milioni di obbligazioni subordinate. (Reuters)
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Bankitalia ha fatto tutto quanto in suo potere per rimettere in carreggiata le quattro banche risolte con il discusso decreto salva banche: Carichieti, Cariferrara, Banca Marche e dell’Etruria. E’ la linea difensiva che ha sottolineato, elencando i provvedimenti via via presi verso il management e gli istituti, il Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria di Palazzo Koch, Carmelo Barbagallo (nella foto), riferendo in commissione Finanze alla Camera. Per Barbagallo la vigilanza “è stata continua, di intensità crescente al peggioramento della situazione aziendale, e ha utilizzato l’intero spettro degli strumenti disponibili”. Una posizione che risponde alle critiche di quanti si sono visti azzerare i risparmi, investiti in azioni e obbligazioni subordinate, e che imputano alla Vigilanza un intervento tardivo rispetto all’aggravarsi nel tempo della loro situazione.
Barbagallo ha ricordato che inizialmente l’intenzione dell’Autorità era far intervenire il Fondo di tutela dei depositi (quello che garanstice i c/c sotto 100mila euro), insieme ad altre banche, per salvare gli istituti. Ma è stata la Commissione europea, a bloccare quel meccanismo di salvataggio, con una posizione che la stessa via Nazionale non ha condiviso. A quel punto si è reso necessario il provvedimento di risoluzione così come a preso corpo.
La lettera di Nicastro ai clienti delle quattro banche
Bankitalia ha ricordato che se si fosse attivato interamente il cosiddetto bail-in – cioè il coinvolgimento anche di obbligazionisti più garantiti (senior) e depositanti sopra 100mila euro – oltre alle azioni e ai titoli subordinati sarebbero stati toccati “i circa 12 miliardi di euro di massa ‘non protetta’ delle quattro banche, inclusi i 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate. Con la liquidazione ‘atomistica’, non sarebbe stata assicurata la continuità delle funzioni essenziali delle quattro banche; alle 200.000 piccole imprese affidate si sarebbe dovuto chiedere il rientro immediato, con danni ingentissimi per le economie locali; sarebbero stati tutelati i soli portatori di depositi garantiti, sacrificando i crediti di un milione di risparmiatori e i posti di quasi seimila lavoratori, con una devastante distruzione di valore”. Uno scenario che inevitabilmente, per Barbagallo, sarebbe scattato senza il decreto di risoluzione.
Anche Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane, ha espresso le sue considerazioni in audizione. Anche il dg dell’Abi, ripercorrendo la genesi del decreto, ha anticipato l’intervento di Bakitalia sottolineando che secondo l’Associazione sarebbe stato possibile intervenire con il Fondo di tutela dei depositi, senza incorrere in aiuti di Stato a Bruxelles, ma alla fine la scelta è stata differente. Quanto al coinvolgimento dei risparmiatori, ha sottolineato che “anche prima che fossero recepite le direttive europee”, ci sarebbero state perdite per loro in caso di liquidazione coatta amministrativa, con l’eccezione dei depositanti fino a 100mila euro. D’altra parte, già una comunicazione della Commissione Ue dell’agosto 2013 chiedeva di coinvolgere azionisti e obbligazionisti subordinati prima di erogare aiuti pubblici. Il quadro finale del salva banche, infine, pesa sul settore del credito – che mette insieme circa 4 miliardi di utili – con oneri immediati da 2,35 miliardi (su un totale di quasi 4 d’intervento del Fondo di risoluzione): per Sabatini rappresentano un impegno significativo che ricadrà anche sui 5 milioni di azionisti del sistema del credito.
Il tema della tutela dei risparmiatori continua a scaldare il fronte politico. Solo ieri, il ministro Padoan aveva promesso ‘aiuti umanitari’ per i circa 130 mila investitori che si sono visti azzerare obbligazioni subordinate e azioni. Ma il Pd Francesco Boccia ha frenato sull’uscita del titolare delle Finanze: “Penso che al ministro Padoan la frase ‘aiuti umanitari’ sia sfuggita. In tutto questo di umanitario non c’è nulla. Io lo avrei chiamato intervento di solidarietà, così come chiameremo il fondo” che servirà per alleviare le difficoltà degli investitori, in gran parte inconsapevoli dei rischi ai quali andavano incontro. Nell’ambito della Stabilità, ormai è certo, entrerà un provvedimento che però non potrà garantire l’integrale recupero del capitale investito: “E’ evidente che non sarà possibile rimborsare tutto, ma non è nemmeno possibile lasciare la gente sul lastrico”, ha spiegato ancora Boccia. La strada è stretta, perché c’è sempre il rischio che Bruxelles sollevi il problema degli aiuti di Stato. Entro il fine settimana dovrà prender forma tecnicamente l’intervento del governo: la soluzione più quotata, al momento, è per un fondo di solidarietà da 100 milioni circa (meno di un terzo delle perdite degli obbligazionisti), alimentato per due terzi dal sistema bancario. Quanto alla modalità di accedere al ristoro, Bruxelles spingerebbe per il modello spagnolo, quando – nel 2012 – tribunali arbitrali decreterano atteggiamenti scorretti da parte delle banche che vendettero strumenti alla clientela senza informarla adeguatamente. Così, quei risparmiatori furono risarciti.
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Repubblica