Un bellissimo film (“the Big Short”), che narra le vicende di chi ha deciso di puntare tutto sul disastro finanziario. La pellicola Usa riprende il solco di “Inside Jobs” e dello straordinario “Margin Call”, ma con dietro la potenza immaginifica del meglio di Hollywood.
Per un pensionato suicida dopo aver perso i risparmi di una vita c’è sempre uno gnomo di Wall Street che ride dondolandosi su una montagna di dollari. Tutti vi raccontano la tragedia del primo, nessuno ci spiega come ha fatto il secondo. “The Big Short”, in italiano “La grande scommessa”, parla di questo e precisamente di come la crisi finanziaria cominciata nel 2008, e non ancora finita, fosse del tutto prevedibile e nei fatti prevista da un gruppo di speculatori divenuto immensamente ricco scommettendo sul crollo dei mutui americani.
Scritto e diretto da Adam McKay ( Anchorman), adattato da un formidabile libro inchiesta di Michael Lewis, “La grande scommessa” non è soltanto un geniale pugno allo stomaco, a momenti esilarante e in altri agghiacciante, con un cast da Oscar (da Brad Pitt a Christian Bale, da Ryan Gosling a Steve Carell) e una scrittura brillantissima che l’hanno fatto eleggere miglior film dell’anno dal New York Times, ma è soprattutto un atto di coraggio quasi inaudito.
Una regola non scritta nel mondo dei media americani e non solo, come a Hollywood e perfino sulla “liberissima” rete, è che si può indagare su tutto, rivelare qualsiasi verità scomoda, tranne che riguardi chi oggi detiene il vero potere: la finanza, le banche, Wall Street o la Bce. Fateci caso, il secondo uomo più potente del pianeta, classifica americana, il nostro Mario Draghi, vanta su Wikipedia una voce che è un decimo di quella dedicata al vincitore dell’ultimo X Factor. Istituti come Goldman & Sachs o Jp Morgan, dai quali è passata tutta la classe dirigente del mondo, sono meno indagate dai media di un campione sportivo. L’evento più importante della storia contemporanea, la crisi finanziaria del 2008, che ha prodotto collassi d’interi paesi, fallimenti a catena, disoccupazione e povertà di massa, ha generato soltanto un paio di film notevoli.
“La grande scommessa” riprende il solco del magnifico documentario “Inside Jobs” e dello straordinario “Margin Call”, ma con dietro la potenza immaginifica del meglio di Hollywood. Con un ritmo frenetico, folle, sarcastico che può ricordare il superbo “The wolf of Wall Street”, ma senza quel finale moralistico e conservatore appiccicato da Martin Scorsese, col bravo e sottopagato agente Fbi che fa giustizia per tutti. Qui finisce come nella vita reale, senza un giorno di prigione per i responsabili del disastro, che sono ancora dov’erano, a governare le sorti del mondo, almeno fino alla prossima catastrofe.
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Il lettore a questo punto può chiedersi se sia il caso di andare a vedere un film dove si parla di swap, derivati, obbligazioni collaterati e altre cineserie della finanza moderna. Cose di cui giustamente non vogliamo sentire parlare neppure dall’agente della nostra banca, al quale affidiamo i nostri risparmi senza immaginare che sarebbe meglio giocarli alla roulette. Ora, se siete un appassionato lettore dell’inserto Norme & Tributi del Sole 24 Ore, questo film vi piacerà. Ma se non ci capite nulla, ne sarete davvero entusiasti. Perché nessuno è mai stato capace di spiegare tanto bene le fraudolente astrazioni della moderna finanza. Anche attraverso divertenti cameo affidati al sex symbol Margot Robbie, al re degli chef Anthony Bourdain o alla pop star Selena Gomez. L’altro gioco è spingerci a tifare in fondo per la banda di speculatori che, contro tutto e tutti, ha scommesso alla vigilia del crollo sulla fragilità del sistema. Perché in fondo in un mondo di ladri sono i più onesti, quelli che non raccontano bugie agli altri e a se stessi, non truffano nessuno. A differenza dei governi, delle banche e delle altre istituzioni, affermano una verità evidente e provata fin dal principio. «La verità», dice una frase del film colta in un bar, «è come la poesia. E alla maggior parte della gente sta sulle palle la poesia».
Così si sta dalla parte dell’eccentrico manager Michael Burry (Bale), il burbero e nevrotico trade Mark Baum (Carell), il fascinoso investitore Jared Vennett (Gosling), il banchiere pentito Ben Rickert (Pitt), quando affrontano la gelida ipocrisia dei poteri finanziari. C’è un colloquio illuminante e realmente avvenuto fra gli speculatori e un’alta dirigente di Standard & Poors, alla quale Baum-Carell chiede con insistenza perché si ostini a concedere ancora il massimo voto, la tripla A, alle obbligazioni spazzatura. Fin che quella non ammette: «Perché se non gliela diamo noi, quelli vanno qui dietro l’angolo da Moody’s e la ottengono ugualmente». Le agenzie di rating ridotte a bottegai in lotta per la clientela.
Tutti avremmo dovuto immaginare che sarebbe andata a finire male. Ma nessuno ha voluto farlo, tranne un pugno di persone a Wall Street. Avevano letto i singoli contratti, erano andati a parlare con i proprietari, scoprendo per esempio che una spogliarellista del Nevada era riuscita a ottenere sei mutui per cinque ville e un appartamento con sei diverse banche, nessuna delle quali sapeva dell’altra, nell’avida fretta di lucrare sui derivati dei mutui facili.
Dopo aver previsto il crollo dell’economia, Mark Baum prevede la risposta dell’opinione pubblica: «Se la prenderanno con gli immigrati ». Non un grande banchiere è finito in galera, le agenzie di rating sono sempre quelle, la proposta di ripristino della riforma roosveltiana del 1933, quella che separava le banche d’affari da quelle di risparmio e per sessant’anni ha ostacolato le grandi bolle finanziarie, non è mai passata. Il volume d’affari delle banche continua ad aumentare, in pochi anni è quintuplicato e oggi rappresenta un quarto del Pil mondiale. Basterebbe scendere nella nostra strada, dove vent’anni fa c’era una sola banca e oggi almeno una dozzina, per capire che i conti non tornano. Ma la verità è come la poesia e noi siamo pronti a farci tosare dalla prossima bolla. A proposito, come sta andando la borsa cinese?
di Curzio Maltese
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I ribassi delle borse di questi giorni sono solo l’inizio
I ribassi delle borse di questi giorni sono solo l’inizio di un presa di consapevolezza che il quadro dipinto negli ultimi anni da autorità monetarie e politiche, da analisti ed economisti e da gran parte della stampa era solo propaganda. La realtà è che la crisi finanziaria originata dal crollo dei prezzi delle materie prime, dalle voragini dei mercati finanziari, dalla crisi dei mercati emergenti non puo’ piu’ essere trascurata. Anzi, l’accumularsi di questi fattori di rischio, di cui la Cina è solo uno, induce a ritenere che molto probabilmente è cominciato un processo di implosione economico e finanziario ben piu’ grave di quello del 2008.
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