Nell’ultimo tormentone della politica nazionale – quale data per il referendum istituzionale? – la palla sta per tornare definitivamente al governo e l’enigma potrebbe sciogliersi nell’arco di 72 ore. Quasi certamente domani arriverà il via libera della Corte di Cassazione sulla validità delle firme raccolte per indire la consultazione e a quel punto il presidente del Consiglio sarebbe libero di annunciare la data del referendum, la cui determinazione per legge spetta al governo.
E la normativa lascia ampi margini al governo, che può liberamente scegliere una domenica tra il 2 ottobre e l’11 dicembre. Renzi potrebbe annunciare la sua decisione in occasione del Consiglio dei ministri del 10 agosto, ma per ora l’unica certezza è un’altra: il presidente del Consiglio continua a coltivare intimamente una forte preferenza per l’ultima domenica di novembre, il 27. Una data che consentirebbe di mettere in sicurezza la legge di Bilancio: in quel periodo potrebbe essere stata approvata da un ramo del Parlamento.
Si tratta di una preoccupazione che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto presente al presidente del Consiglio: se al referendum vincesse il No alla riforma e dunque Renzi sarebbe costretto a dimettersi, l’Italia si ritroverebbe senza governo, ma almeno avrebbe la “Finanziaria” quasi approvata.
Naturalmente la preferenza del presidente del Consiglio per il 27 novembre è mossa, scaramanticamente soprattutto da un interesse politico: quella data consentirebbe a Renzi di disporre di quasi tre mesi, a partire dal primo settembre, per dispiegare la propria campagna elettorale. E a dispetto delle prese di posizioni pubbliche (peraltro molto blande) le due opposizioni più consistenti, Cinque Stelle e Forza Italia, non hanno nulla in contrario ad una campagna “lunga”.
Certo, ieri Alessandro Di Battista, uno dei leader parlamentari del M5S, ha annunciato una iniziativa originale a sostegno del No: «Sarò in piazza dal 7 agosto al 7 settembre, in motorino per le strade d’Italia. Seguitemi anche su Instagram. Venite con me. Cittadini tra cittadini. Sarà una meraviglia! Girerò tutta l’Italia (isole escluse, purtroppo non faccio in tempo) per spiegare le ragioni del no al referendum sulle riforme costituzionali made in Renzi-Boschi-Verdini. Viaggerò in motorino e percorrerò circa 4000 km».
Iniziativa agostana in attesa della campagna d’autunno dei Cinque stelle, ma nelle settimane scorse la raccolta di firme per promuovere il referendum, si è conclusa con un flop dei Comitati per il No, all’interno dei quali i “grillini” avrebbero dovuto garantire l’apporto più consistente.
E quanto a Berlusconi, nessun contatto con Renzi e il suo entourage, ma un messaggio chiaro da Arcore: il Cavaliere ha bisogno di tempo per tornare in pista e per far insediare Stefano Parisi. Dunque, bene il 27 novembre o giù di lì. Ma di tempo ha bisogno Renzi, anche perché si sta complicando la prospettiva della campagna referendaria: i capofila delle due correnti della minoranza Pd, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, fanno sapere che se non si cambia l’Italicum, l’intera minoranza potrebbe schierarsi per il No al referendum.
Dice Speranza: «Se stasera entrassi in una macchina del tempo, e ne uscissi nel giorno in cui si vota il referendum, e tutto fosse ancora come oggi, non sarei in condizione di votare Sì».
A loro e in controluce a Massimo D’Alema risponde la ministra Maria Elena Boschi: «Lasciatemi dire senza polemica che chi ci dice: `Se va male questa riforma perché votiamo no in sei mesi ce ne è un’altra pronta´, ha alle spalle trent’anni di insuccessi, che ci dimostrano che non è vero che bastano sei mesi per fare un’altra riforma costituzionale».
Fonte: La Stampa
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