Elezioni europee: il declino franco tedesco

Olaf Scholz conta sempre meno in Germania, e il suo governo risulta essere il più impopolare della storia recente. Ma non conta quasi più nulla a Bruxelles. E Macron è disperato. Gli elettori li hanno umiliati, la locomotiva franco-tedesca che da 60 anni trainava l’Europa si è fermata.

di Vittorio Sabadin

Solo due settimane fa il presidente francese Emmanuel Macron era a Berlino, per decidere con il cancelliere Olaf Scholz le priorità strategiche per il futuro dell’Europa e per spartirsi i posti di comando da assegnare dopo le elezioni. Quattordici giorni dopo i due leader sono anatre zoppe che rischiano di non contare più nulla: gli elettori li hanno umiliati, la locomotiva franco-tedesca che da 60 anni trainava l’Europa si è fermata, altri politici sono in arrivo e si preparano a prenderne il posto.

Come due pugili finiti al tappeto, Macron e Scholz cercano di guadagnare tempo per tornare a respirare: il presidente francese con le elezioni anticipate, il Cancelliere tedesco con la certezza che nessun partito della sua coalizione aprirà, per ora, la crisi. Fortemente indeboliti sul fronte interno, hanno però perso l’autorevolezza che ancora avevano nello scenario europeo e non ispirano più fiducia. Gli altri leader percepiscono la loro debolezza: nello stato in cui sono, possono ancora dettare condizioni al resto dell’Europa?

Macron e Scholz non si erano mai amati e non andavano d’accordo quasi su nulla. Erano divisi sull’energia, sull’Ucraina, sulle riforme di cui ha bisogno l’Unione. Quando Macron in aprile annunciava alla Sorbona la sua grande visione per il futuro dell’Europa, a Berlino si potevano sentire i borbottii dietro alle porte chiuse. L’alleanza franco-tedesca non è mai stata un vero motore né ha mai stabilito una realistica tabella di marcia, ma ha sempre dato l’impressione di farlo.

Se a Bruxelles si discuteva per settimane cercando di mettere d’accordo 27 paesi, Scholz e Macron si incontravano, parlavano con Biden e con Xi Jinping, mandavano armi e messaggi rassicuranti a Zelensky, dicevano la loro sul Medio Oriente e sulle questioni più urgenti. Davano insomma l’impressione che in Europa, mentre tutti si accapigliavano sul da farsi, c’era qualcuno che le cose le faceva a nome di tutti. Ma ora Macron, il cui mandato di presidente scade nel 2027, rischia di ritrovarsi presto all’Hôtel Matignon un primo ministro di destra molto ostile, che condizionerà le sue scelte.

Capitò già al gollista Jacques Chirac nel 1997, quando indisse elezioni anticipate e si ritrovò prigioniero di un governo di sinistra. Macron scommette sul fatto che i francesi in tre settimane cambieranno idea, ma a forza di scherzare con il fuoco, ammoniva ieri Le Monde, si finisce col bruciarsi. Olaf Scholz conta sempre meno in Germania, e il suo governo risulta essere il più impopolare della storia recente. Ma non conta quasi più nulla a Bruxelles, dove ha pochissimi rappresentanti e non può fare alleanze con leader di sinistra, perché non ce ne sono più.

Chi prenderà dunque il loro posto? Ci sono questioni urgenti da affrontare e appuntamenti importanti nei quali assumere decisioni: il G7 in Puglia di giovedì e venerdì prossimi, la conferenza per la pace in Ucraina di sabato e domenica a Lucerna, il vertice della Nato dal 9 luglio a Washington. Ai tavoli dei delegati europei, i vincitori delle elezioni guarderanno gli sconfitti con un po’ di commiserazione e tutti saranno consapevoli del grande cambiamento in corso.

In Europa avranno più peso Giorgia Meloni, l’unico leader a uscire vincitrice dalla consultazione, e il primo ministro polacco Donald Tusk, una forza crescente da non sottovalutare. A Meloni fanno la corte sia Marine Le Pen che Ursula von der Leyen, e la scelta che il presidente del Consiglio farà tra le due avrà molto peso sul futuro dell’Europa.

Già si prevede che dopo il voto che ha premiato la destra ci saranno numerosi cambiamenti nelle politiche agricole, nell’appoggio all’Ucraina contro Putin, nelle misure per arginare l’immigrazione, nella lotta ai mutamenti climatici giudicata troppo penalizzante per le industrie. In Germania, dove votavano per la prima volta i sedicenni e i diciassettenni, sono cresciuti i partiti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, cosa che sembra dare ragione a chi ammoniva che per votare occorre un minimo di maturità.

Sarà un’estate confusa, mentre si procede alla nomina dei nuovi vertici dell’Unione e mentre si cerca una chiara leadership che ne guidi le principali politiche. Il centro liberale ha ancora i numeri per governare, ma sembra quasi che gli sia stata concessa solo una tregua. Se non affronterà con decisione i problemi che hanno fatto crescere la destra nazionalista e populista, a cominciare dall’immigrazione, la prossima volta i sovranisti trionferanno. Ma ora c’è bisogno di una nuova guida: ci sì è lamentati spesso che l’asse franco-tedesco fosse troppo forte, ma potremmo doverci lamentare ancora di più che sia diventato così debole.

Fonte: Il Messaggero

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