Due cuori e una capanna. Due ex Dc che più scudocrociati non si può. Due viole mammole, due Margherite di campo l’ex premier Matteo Renzi e il successore da lui stesso scelto – sempre in sonno Sergio Mattarella – ovvero il fido neo premier Paolo Gentiloni. Con la benedizione, e forse qualcosina in più, da parte degli Usa: l’ultimo cadeau di Obama prima di lasciare la Casa bianca? E certo da parte di un potere non poco ‘forte’: quella Trilateral che all’ultimo summit organizzato lo scorso 15 aprile proprio a Roma ha visto il nostro ministro degli Esteri come guest star, al fianco una sognante Maria Elena Boschi, passata in un baleno dalle aule di giurisprudenza ai saloni animati dai potenti della Terra, e la costituzionalista Lia Quartapelle, che rischiò di finire al Quirinale…
TORNA A CASA, MATTEO
Da buon Babbo Natale Matteo ha inforcato la slitta ed è tornato finalmente a casa. Così cinguetta via tweet: “Torno a Pontassieve, come tutti i fine settimana. Tutti dormono. Il gesto lieve e automatico di rimboccare le coperte…”. E mentre cominciano a scendere i primi fiocchi di candida neve, una lacrima percorre il suo viso.
Subito popolato di mostri – quel mondo – difficili da digerire per il delicato stomaco e il tenero cuore di Paolo. Che però riesce ad imparare subito e anche ad apprendere il mestiere delle armi. Così scrive Ferdinando Imposimato per la Voce il 21 ottobre 2015: “E’ in atto da tempo una campagna per favorire l’intervento militare dell’Italia in Libia. Non sono pochi quelli che, anche tra i pacifisti, spingono in questa direzione. Ai primi di febbraio 2015 il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (fresco di rientro da unamissione Usa, ndr) e il ministro della Difesa Roberta Pinotti, disegnavano un’Italia ‘pronta a combattere’ e che aveva indicato le forze militari disponibili. Essi sollecitavano una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU (dove il titolare della Farnesina si era appena recato, ndr) che autorizzasse l’uso della forza per fermare le minacce dell’Isis. Dissero che gli italiani dovevano guidare la missione di guerra, che si cela dietro il paravento della missione di pace. Si volevano indurre le Nazioni Unite a fornire 50 mila uomini per occupare la Libia con mezzi pesanti per accertare se volesse stipulare un accordo di pace (peace keeping) o imporre con la forza un accordo di pace (peace enforcing). Il piano venne bocciato, ma ogni tanto riemerge con pericolo per la pace”.
ALL’OMBRA DELLA TRILATERAL
Passiamo alla super convention griffata Trilateral, che a metà aprile si è svolta nella sontuosa location dell’Hotel Waldorf Astoria, adagiato sul colle di Monte Mario, nella capitale. Così dettaglia un sito: “Dopo 33 anni la prestigiosa e misteriosa Trilateral Commission, think tank fondato nel 1973 da David Rockfeller ed Henry Kissinger, torna a riunirsi in Italia. Il battesimo tocca a lei, la ministra Maria Elena Boschi, accompagnata da due pesi massimi del renzismo come Andrea Guerra (ex ad di Luxototica e per un anno consigliere a palazzo Chigi) e Yoram Gutgeld, deputato Pd e commissario di governo per la spending review (a sua volta membro della Trilateral. A condurre l’incontro la presidente della Rai, Monica Maggioni, molto a suo agio”, appena un mese fa, l’8 novembre, ascesa al rango di capo di Trilateral Italia.
Continua la ricostruzione di quella indimenticabile giornata: “mentre in piscina i turisti stranieri si godono i primi bagni di stagione sotto il sole splendente, le forze dell’ordine presidiano in modo discreto gli accessi all’hotel e il leghista Borghezio discute animatamente con la security che non lo fa entrare, in un salone seminterrato dalle luci soffuse va in scena il plenary meeting 2016. Il platea ci sono politici, accademici e uomini d’affari che arrivano dai tre continenti che compongono la Trilateral: Nord America, Europa e Asia. Siedono attorno a piccoli tavoli circolari, cinque alla volta, i cognomi stampati in grandi caratteri neri su sfondo bianco. La sala è piena, ci sono almeno 200 persone. Tra questi Jean Claude Trichet, ex presidente della Bce e presidente del gruppo europeo della Trilateral, il suo predecessore Mario Monti, Herman Van Rompuy, l’ex ministro turco Ali Babacan, l’ex ministro degli Esteri della Corea del Sud Han Sung-Joo, il russo Alexei Kudrin, i numeri uno di Intesa e Unicredit Carlo Messina e Giuseppe Vita. Per l’Italia anche la deputata renzianissima Pia Quartapelle e Lapo Pistelli, ora all’Eni. Sabato sono attesi il ministro Paolo Gentiloni, che discuterà di Medio Oriente, ed Enrico Letta, nei panni di preside di Scienze Politiche a Parigi”.
QUEL MITICO MEETING TRA HILLARY E PAOLO…
Eccoci ora ad uno dei piatti forti nel menù di chef Gentiloni: le genuflessioni davanti ad Hillary Clinton. E quel mancato, mitico incontro.
Tutto salta fuori dalla montagna di email nascoste dalla candidata democratica, le bellezza di circa 30 mila, agli agenti federali dell’Fbi, uno degli assi nella manica di Donald Trump per il suo assalto alla Casa bianca.
Due anni fa esatti, infatti, il ministro degli Esteri Gentiloni sta preparando i bagagli per volare a New York, appuntamento fissato con il segretario di Stato a stelle e strisce John Kerry. Ma nel suo cuore coltiva un sogno, a dream: incontrare lady Clinton, che sente – grazie al suo fiuto – già proiettata versa la presidenza Usa.
Il segretario particolare del titolare della Farnesina, Luca Bader, contatta Huma Abedin, la più stretta collaboratrice di Hillary Clinton e moglie (ormai ex) di Anthony Wiener, che alle bollenti email gestite dalla consorte soleva mescolare suoi messaggini pedoporno. Uno scandalo nello scandalo.
Ecco cosa scrive Bader ad Huma il 29 novembre 2014. “Sono il capo staff del nuovo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Ho avuto il suo indirizzo email dal mio amico Matt Browne del Centro per il Progresso Americano e mi scuso per disturbarla durante il week end per il Thanksgiving. Il ministro arriverà a Washington il prossimo 9 dicembre per incontrare il Segretario Kerry. Ci fermeremo anche a New York per alcuni incontri alle Nazioni Unite. Saremo a Washington / NY dall’8 al 10 dicembre. Sono sicuro che la nostra Ambasciata a New York si è già messa in contatto con il suo ufficio. So bene che l’agenda del senatore Clinton è sempre molto piena (‘busy’), ma ci chiediamo speranzosi se Mr. Gentiloni può avere la chance di incontrare il senatore Clinton durante la sua visita negli U.S. Saremmo onorati di incontrarla e discutere sui principali temi di Politica Internazionale. Inoltre, Mr. Gentiloni è membro del Partito Democratico Italiano, così noi siamo particolarmente vicini (‘close’) ai democratici statunitensi. Incontriamo il Segretario Kerry il 9 dicembre. Ma per il resto potremmo incontrare Ms. (letterale, ndr) Clinton in DC (Washington, non la sede della Democrazia cristiana, ndr) oppure a New York come i suoi impegni (di ms.Clinton, ndr) consentono. Vede una chance per il verificarsi del nostro incontro? Molte grazie e ancora scusa per averla disturbata di sabato”.
Il giorno seguente, 30 novembre, tappetino Bader riceva questa mail da Huma Abedin: “Luca, molto lieta di incontrarla via email. So che il Segretario Clinton sarebbe felice di avere questo incontro. Non sono sicura di poterlo fissare ma ci stiamo lavorando su. Ci teniamo in contatto”. Stop.
Nuova email del premuroso Bader il 2 dicembre: “Huma, spero che questa email la trovi bene. Sono desolato di disturbarla ancora ma stiamo fissando gli impegni per il nostro viaggio negli U.S. il prossimo week end, e gradiremmo sapere se ha notizie circa il possibile incontro con il Segretario Clinton. Stiamo mantenendo il nostro programma flessibile in modo tale da poter organizzare l’incontro, ma avremmo proprio bisogno di sapere se l’incontro ha chance di poter avvenire, e possibilmente di sapere dove (Washington o New York) e quando. Grazie infinite per il suo aiuto”.
Purtroppo quel mitico incontro non ebbe mai luogo. Così descrive la situation commedy un sito americano: “Ma Hillary quel caffè non l’ha concesso. Nonostante la segreteria di Gentiloni assicurasse che altri incontri, come quello con il sottosegretario Kerry, si sarebbero chiusi alla velocità della luce in caso di un sì di Hillary. Pare che la futura candidata democratica alla Presidenza non si sia sciolta davanti alle parole della segreteria di Gentiloni, che giurava che per il ministro italiano ‘sarebbe stato un onore incontrarla e discutere con lei dei principali dossier di politica internazionale’. Chissà poi a che titolo la Clinton, che non aveva alcun incarico pubblico, avrebbe potuto discutere meglio di Kerry dei dossier di politica internazionale…”.
E GLI ALTRI FRIENDS A STELLE & STRISCE
Uno dei più accesi e convinti sponsor della premiership targata Gentiloni è il capogruppo del PD al Senato, il renziano di ferro Luigi Zanda Loy. Ospite eccellente nel salotto di Lilli Gruber, Otto e mezzo, la sera prima dell’incoronazione di Paolo, in compagnia di un radioso (per la scelta) Beppe Severgnini (“finalmente un Gentiloni, si capisce anche dal cognome”, commenta senza un filo di ironia).
Nel suo Cerchio magico l’inossidabile Zanda Loy può contare su un amico americano da novanta, Michael Ledeen. Il quale, a sua volta, è ‘culo e camicia’ con il ‘fratello’ di Renzi, Marco Carrai, l’uomo per tutti i Servizi; e super guest in occasione delle recenti nozze targate Carrai a Firenze.
Un pedigree politico-giudiziario lungo mezzo miglio, quello di Ledeen, l’uomo giusto sempre al posto giusto: vuoi per le trame piduiste in Italia, oppure per gli insabbiamenti delle stragi all’epoca della strategia della tensione, vuoi per lo scandalo Iran-Contras oppure per gli squadroni della morte in Nicaragua, vuoi per i dossier farlocchi anti Saddam e pro invasione oppure per i tentativi di aggressione all’Iran. Sempre lì, a dirigere l’orchestra.
Così ha ricostruito uno storico di quelle strategie, l’ex senatore Pd Giovanni Pellegrino (fu presidente della commissione stragi dal 1994 al 2001): “Stando ad alcune informazioni contenute in un appunto steso dal Sisde per il ministro dell’Interno (pervenuto alla segreteria speciale del Gabinetto del Viminale il 14 marzo 1985), all’epoca della presidenza del Consiglio retta da Francesco Cossiga, risulta che Mike Ledeen ha ‘avuto rapporti molto stretti con il giornalista de L’Espresso Luigi Zanda Loy, figlio dell’ex capo della Polizia’, prefetto Efisio Zanda Loy, ed il ‘dott. Arnaldo Squillante, presidente di sezione del Consiglio di Stato, all’epoca Capo di Gabinetto dell’on. Cossiga’. Ebbene, il dott. Luigi Zanda Loy ha ricoperto l’incarico di addetto stampa del ministro dell’Interno Cossiga durante il caso Moro ed è stato nominato consigliere d’amministrazione dell’Editoriale L’Espresso”.
E Aldo Moro – è ormai storia, come ha ammesso uno dei vertici della Cia, Steve Pieczenick – doveva morire: per mano delle Bierre e per volontà di un pezzo della Dc in combutta con Servizi & vertici Usa.
Questo articolo e’ stato orginariamente pubblicato da LaVocedelleVoci, che ringraziamo
robyuankenobi
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Nakatomy
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pensa che sto parlando contro i miei interessi
Nakatomy
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la finanza non può rimanere senza certezze , altrimenti ci attaccano lo sai benissimo ?
si andrá al voto con una buona legge elettorale
ora ci vuole responsabilità di tutti , altrimenti l’alternativa
l’inferno di Dante
Compreso i tuoi investimenti , non lo short naturalmente ?
vediamo di pensare a queste povere persone ( risparmi italiani ) amico mio ?
robyuankenobi
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Cesare58
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